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Sudafrica. Philippi, il sogno negato di una città che non è mai finita

Paolo M.Alfieri domenica 18 maggio 2014

È quando arrivi in posti come Philippi che la cartolina su­dafricana descritta dall’A­frican National Congress (Anc), il partito che fu di Nelson Mandela, improvvisamente sbiadisce. «Stia­mo molto meglio ora che nel ’94», continua a ripetere come un man­tra Jacob Zuma, il presidente che mercoledì sarà rieletto dal Parla­mento a un nuovo mandato quin­quennale, dopo le elezioni del 7 maggio. E però sono proprio ba­raccopoli come Philippi, Khayelit­sa o Langa a ricordare in maniera bruciante al partito al potere da vent’anni che ancora lunga è la strada per portare il Sudafrica ver­so un nuovo livello di sviluppo. Se di molte zone dell’“europea” Città del Capo colpiscono l’ordi­ne, la pulizia, i servizi – a vantag­gio non solo dei bianchi, ma an­che di una nuova élite nera che prende sempre più piede e i cui fi­gli si ritrovano la sera a ballare nei locali di Green Point – nella town­ship di Philippi, lontana mezz’ora d’auto, è quasi ancora tutto da fa­re. Si ripiomba di colpo in Africa, l’Africa con il suo carico di umanità dolente costretta a ingegnarsi in mille modi per tirare avanti. 

 Sono in 190mila a vivere su di un’a­rea che si estende per diversi chi­lometri. Le poche strade asfaltate tagliano la zona ad angoli retti, mentre l’interno è colmo di buche. Ai bordi della carreggiata un’infi­nita teoria di venditori con la mer­canzia più varia. C’è chi vende car­ne preparata alla brace sul m­o­mento, chi ha solo teste di mucca mozzate, chi materassi ultrausati, pentolame, ferraglia. Sotto qual­che baracca si improvvisa un ma­cello per le pecore, che si aggirano belanti e inconsapevoli. «Ogni cosa che è possibile vende­re qui la si vende, in modo da po­ter sfamare le famiglie», osserva Li­vujo, coordinatore nella zona di un progetto per donne abusate. «Il problema principale, qui, resta la casa», continua Livujo. Il «proble­ma », in effetti, è evidente. Quasi l’intera area di Philippi è costitui­ta da minuscole abitazioni in la­miera e legno e pezzi di ferro ar­rugginiti tenuti insieme chissà co­me. «Dentro ci dormono famiglie anche di dieci persone». 

 Zuma e l’Anc hanno ripetuto al­l’infinito, durante la vittoriosa campagna elettorale, che dal ’94 a oggi il governo ha provveduto a co­struire oltre 2,5 milioni di case per i poveri, dato contestato dall’op­posizione. Anche qui a Philippi è giunta la mano governativa, ma le cose non sono andate proprio co­me previsto. «Vedi quelle case? – chiede Livujo – Erano quelle co­struite dal governo. Ebbene, quan­do attui un simile intervento in un posto come Philippi in preda alla miseria devi tenere in conto che potrai scatenare una terribile guer­ra tra poveri. Ed eccolo, il risulta­to».

Eccole, quindi, le case del­l’Anc: i muri tirati via, del tetto nemmeno a parlarne. «Sono state vandalizzate quando erano quasi finite – continua –. La gente non voleva o poteva aspettare il suo turno per l’assegnazione. Così, per l’impazienza di entrarne in pos­sesso prima di qualcun altro, han­no finito per vandalizzarle e di­struggerle». Passiamo davanti alla piccola sta­zione. Da qui a migliaia la mattina, soprattutto donne, si recano in tre­no a Città del Capo: c’è chi lavora come domestica per le famiglie di Sea Point, chi fa le pulizie negli al­berghi di Camps Bay. Sono però molti, troppi, gli uomini e le don­ne in giro a Philippi per essere la mattina di un giorno feriale. Segno di una disoccupazione devastante. «Non ho lavoro, per questo sto in strada, magari qualcuno mi chie­derà di fare qualcosa e racimolerò qualche soldo», dice Dumisani, 36 anni, ma ne dimostra 50. 

Molti giovani finiscono col restare invischiati nelle gang. Il Sudafrica ha uno dei più alti tassi al mondo di criminalità. «Tre settimane fa e­ro in macchina, fermo ad un se­maforo – dice Wilson, commer­ciante di pollame –. Avevo dimen­ticato di serrare le portiere. In po­chi attimi sono stato assaltato e de­rubato di tutto. Ma sono fortuna­to a poterlo raccontare». Ancora tra i giovani si registra un aumen­to esponenziale dei casi di Hiv. L’Ong Sizakuyenza sostiene colo­ro che vogliono sottoporsi al test. «Oltre il 60% dei giovani risulta po­sitivo, un dato di molto superiore a quello degli adulti – sottolinea Zukisha Marulini – Molti ragazzi pensano che la malattia non li ri­guardi, non possa colpirli, per que­sto è importante l’educazione».

Poi arriva un carretto trainato da un cavallo. Avanza a passo d’uo­mo, affiancato da due uomini e da un bambino che avrà 7-8 anni. Raccolgono tutti gli scarti ai lati della strada, dai pezzi di ferro e le­gno a residui di frutta e verdura or­mai quasi marcia. È così che a Phi­lippi si risolve il problema della raccolta rifiuti. Perché lì dove c’è poco niente è rifiuto. Niente, se c’è fame, può essere scartato.

(«Ogni cosa che è possibile vendere qui la si vende, in modo da poter sfamare le famiglie», testo e foto di Paolo M.Alfieri)