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DIRITTI UMANI. Pena di morte: si allarga il fronte del no

martedì 26 maggio 2009
Anche il Togo sta per mandare in pensione il boia. L’annuncio, che amplia la “no death penalty zone”, l’area libera dalla pena di morte, arriva al IV Congresso internazionale dei ministri della Giustizia, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Nella sala della Protomoteca in Campidoglio il guardasigilli del Paese africano, Kokou Biossey Tozoun, dichiara che «tra qualche giorno la pena di morte sarà abolita nel nostro Paese». Il Togo, abolizionista de facto, ha eseguito l’ultima condanna nel 1998, commutando tutte le altre condanne in carcere a vita. «La pena di morte è inutile e illusoria – dice Tozoun – perché lo Stato che dà la morte non è più grande di chi uccide». A poche settimane dall’abolizione della pena capitale nello Stato americano del New Mexico, la Comunità di Sant’Egidio prosegue nella sua battaglia per passare dalla Moratoria universale della pena di morte – approvata nel 2007 all’Assemblea generale dell’Onu e ribadita l’anno successivo – a una reale cancellazione de jure dai codici penali. A Roma arrivano i rappresentanti di 25 Paesi sudamericani, asiatici e africani, tra cui 15 ministri della Giustizia che stamattina saranno ricevuti dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Ed è proprio dall’Africa che arrivano i segnali più incoraggianti. Nel 2008 è stata la volta del Burundi, sconvolto da dodici anni di sanguinosa guerra civile. «È il segno di una scelta irreversibile per la democrazia e il rispetto dei diritti umani», spiega il ministro del Togo. Che sta per aggiungersi ai numerosi Paesi africani che hanno abolito negli ultimi anni la pena capitale. Il presidente dello Zambia, Rupiah Banda, ha solennemente dichiarato che nel corso del suo mandato non firmerà mai un ordine di esecuzione. Per il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo «sono risultati notevoli che mostrano come l’Africa si avvii a essere il secondo continente, dopo l’Europa, libero dalla pena capitale». Il sottosegretario agli Esteri Vincenzo Scotti ricorda che l’Italia è sempre in prima linea e insieme ad altri Paesi sta lavorando a una nuova risoluzione da presentare all’Assemblea generale dell’Onu in autunno. Il vice-presidente del Csm Nicola Mancino ricorda che «la certezza della pena come deterrente è di gran lunga uno strumento migliore della gravità della stessa e l’umanità delle condizioni di detenzione offre le migliori garanzie per il recupero sociale del detenuto». Lo spauracchio del boia, insomma, non è mai servito a contenere il crimine: «La pena di morte che vigeva nel nostro Paese – conferma il guardasigilli del Burundi Jean Bosco Ndikumana – non ha impedito ai burundesi di ammazzarsi tra di loro». Aggiunge Impagliazzo: «Dalle ricerche fatte in diversi epoche e diversi Paesi non è mai risultato che l’abolizione abbia portato all’incremento dei delitti più gravi». Conferma Mario Marazziti, portavoce della Comunità: «In Canada, così vicino agli Usa, dopo l’abolizione gli omicidi sono calati». Il Costa Rica fa ben sperare. Il ministro della Giustizia Viviana Martìn Salazar orgogliosamente ricorda che il suo Paese non uccide dal 1882: «Il nostro presidente è un Nobel per la pace, non abbiamo l’esercito e ci sono più maestri che poliziotti». E i programmi di riabilitazione per i detenuti costaricani hanno ridotto dal 60% al 25% la recidiva di chi, una volta uscito, tornava a delinquere. Anche dall’America del Nord arrivano segnali incoraggianti: due anni dopo l’abolizione in New Jersey, anche il New Mexico ha abbandonato la pena capitale. E Nebraska, New Hampshire, Colorado e Montana stanno discutendo proposte abolizioniste. Il cammino è lungo ma negli ultimi anni ha subito un’accelerazione sorprendente: agli inizi del XX secolo gli abolizionisti erano tre, dopo il 1945 ancora solo ottp, nel 1978 erano 19. Ora la proporzione si è ribaltata.