Una tregua precaria, sottile, terribilmente fragile è stata raggiunta ieri fra Israele e Hamas al Cairo. L’annuncio ufficiale lo ha dato dopo una giornata convulsa il ministro degli Esteri egiziano Kamel Amr. Il “format” dell’accordo per il cessate il fuoco era pronto da giorni, anzi, a ben vedere da quattro anni, visto che le somiglianze con quello che nel gennaio del 2009 mise fine all’operazione “Cast Lead” sono innumerevoli: in sintesi, Israele si impegna a cessare per primo le ostilità seguita da Hamas (formalmente il movimento politico al potere nella Striscia), quindi dalla Jihad Islamica, dai Comitati di resistenza popolare e da tutti gli altri gruppi e gruppuscoli palestinesi che operano a Gaza. L’accordo include l’impegno israeliano a porre fine agli assassini mirati degli esponenti delle milizie attive nella Striscia di Gaza e i raid aerei, mentre c’è la promessa di facilitare i movimenti dei palestinesi fuori dalla Striscia aprendo i varchi che negli ultimi giorni sono stati sigillati. Israele, Egitto e Stati Uniti hanno siglato un accordo per interrompere il traffico di armi dal Sinai a Gaza. Inoltre, dopo la cessazione delle violenze, Israele potrebbe acconsentire a un allentamento del blocco navale attorno a Gaza. Non si parla tuttavia di rimuovere l’embargo. «L’Egitto – così recita il testo dell’accordo – otterrà garanzie da entrambe le parti per il rispetto dell’accordo raggiunto. Le due parti devono impegnarsi a non violare le clausole dell’accordo e in caso di violazione l’Egitto, sotto i cui auspici questo accordo è stato raggiunto, interverrà».La notizia della tregua è giunta attorno alle 18, ora italiana, dopo un’altalena di faccia a faccia quasi vertiginosa durati tutta la giornata. Protagonista assoluta l’infaticabile Hillary Clinton, che di prima mattina atterrava a Ramallah per un incontro con il politicamente esautorato Abu Mazen (scopo vero della visita: rimandare la richiesta da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese di ottenere dall’Onu il riconoscimento di Stato non membro; richiesta bocciata senza mezzi termini dal presidente dell’Anp, che il 29 del mese la proporrà comunque alla plenaria a Palazzo di Vetro), per poi incontrare il premier Bibi Netanyahu, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e il ministro della Difesa Ehud Barak a Gerusalemme, e infine il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon. «La soluzione diplomatica è ancora possibile – faceva sapere il portavoce israeliano Mark Regev – noi non abbiamo perso le speranze di ottenere un’intesa a lungo termine attraverso la diplomazia», ma a spezzare l’illusione di un accordo provvedeva l’attentato al bus di Tel Aviv, che sembrava allontanare di molto la prospettiva di un’intesa a breve termine. Il fulcro delle trattative tuttavia non era a Gerusalemme, Ramallah o Tel Aviv, ma Il Cairo, perché il bandolo dei negoziati stava da giorni nelle mani del presidente egiziano Morsi, che dalla vicenda guadagna un’insospettata statura politica di prima grandezza. Lo riconosce senza esitazioni la Clinton, a fine corsa dopo quattro anni come apprezzatissimo Segretario di Stato: «I popoli di questa regione meritano di vivere senza paura. Gli Stati Uniti salutano l’accordo di oggi per il cessate il fuoco a Gaza che impone che i lanci di missili debbano finire e che in generale debba ritornare la calma. Il nuovo governo egiziano si sta assumendo la responsabilità e la leadership che per molto tempo ha fatto di questo Paese una pietra miliare per la stabilità e la pace». «Diamo una chance alla possibilità di un cessate il fuoco», ha detto Netanyahu in una conversazione telefonica con Barack Obama, ammettendo però che «molti israeliani disapprovano questa tregua (il 70% secondo un sondaggio tv, ndr) e vorrebbero azioni militari più risolute. Cosa che saremo costretti a fare se il cessate il fuoco verrà infranto». Caustico il commento dell’indiscusso capo di Hamas, Khaled Meshaal: «Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi. L’Egitto non ci ha svenduti. E ora vogliamo lo stop del blocco su Gaza». Tregua fragile, inutile farsi illusioni. A mezz’ora dall’inizio del cessate il fuoco le sirene d’allarme risuonavano ancora a Ashdod, Ashqelon e Be’er Sheva. La popolazione restava asserragliata nei rifugi, mentre Hamas e Jihad rivendicavano l’attacco. Anche l’aviazione con la Stella di David sorvolava la Striscia. Fino all’ultimo minuto, o quasi, era guerra. Fino a quando durerà la tregua nessuno è in grado di dirlo.