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Buenos Aires. Videointervista del Papa ai ragazzi della baraccopoli

Lucia Capuzzi mercoledì 23 aprile 2014
Quando nella baraccopoli di Bajo Flores è risuonata la sua voce quasi non potevano crederci… Il “loro” padre Jorge era tornato. Almeno per 16 minuti, tanto dura il videomessaggio con cui il Papa ha risposto alle domande inviategli dal gruppo di giovani che manda avanti, con ingegno, fatica e fantasia, la radio comunitaria di questa baraccopoli di Buenos Aires. Quando era arcivescovo della capitale argentina, il cardinal Bergoglio vi andava, per infondere coraggio agli abitanti e ai sacerdoti – il parroco Gustavo Carranza e il padre Hernán Morelli – che li accompagnano. E, ora, da “vescovo di Roma”, Francesco ha incontrato ancora i “suoi” villeros. L’equipe di Radio Bajo Flores ha voluto condividere con “Avvenire” il filmato, trasmesso in occasione del primo anniversario dell’elezione al Soglio Pontificio.Con spontaneità, il Santo Padre parla delle varie questioni. Alla domanda sul come educare i giovani, risponde: “Spesso, passando per strada, vediamo la scritta “gelati artigianali”. Che cosa significa? Che sono fatti come in casa, con attenzione, senza aggiunte chimiche. Anche l’educazione è artigianale. Si deve fare come in casa”. Il che vuol dire non solo trasmettere concetti ma “accompagnare, far maturare gli affetti, far interiorizzare i valori”. E questo “non si compra, si fa. Con la testimonianza”.  Sull’atteggiamento verso i carcerati, il Papa afferma: “A me aiuta molto pensare che se non mi trovo in prigione, se non ho fatto qualcosa per cui finissi privato della libertà, è pura Grazia. Tutti in un momento di debolezza possiamo fare qualcosa che ci porti in una cella”. E sottolinea: “Perché lui o lei e non io?”, mi chiedo, a volte. Facciamoci questa domanda e riusciremo ad avvicinarci ai fratelli e alle sorelle detenuti”. Che sono “persone di carne e ossa come te e me. E’ ingiusto discriminarli”.A proposito dei “curas villeros”, i sacerdoti impegnati nelle baraccopoli, Francesco ribadisce che il loro lavoro “non è ideologico, è apostolico”. Chi pensa il contrario non sa che cosa “si fa in una villa”. Al contempo, sui primi curas villeros – come padre Rodolfo Ricciardelli, padre Jorge Vernazza e padre Carlos Mugica -, spesso accusati di essere “preti rossi” e vittime di repressioni, il Papa afferma: “Sono uomini che hanno sentito una chiamata di Dio a realizzare una pastorale vicina ai più emarginati. E hanno sofferto molto. A volte magari possono aver sbagliato qualcosa, perché tutti sbagliamo. Il loro lavoro, però, la loro ispirazione non era sbagliata”. Perché “la giustizia è un valore evangelico, non un’ideologia”.“Perché chiede di pregare per Lei?”, gli domandano. E il Papa ribatte: “Perché ne ho bisogno. Nel mio lavoro ho bisogno del sostegno del popolo di Dio”.Intense le parole sulla figura della Madonna. “Gesù non ci ha lasciati orfani di madre”. La Vergine “non si fa da protagonista, accompagna. Come ha accompagnato Gesù per tutta la vita. Stringendo la sua mano uno ha il coraggio di fare qualunque cosa. Perché sa che se devia, Lei gli dà uno strattone per toglierlo dal pericolo”.Francesco ha anche fatto un mini-bilancio del suo primo anno di Pontificato, confessando: “Ciò che mi pesa di più sono le “scartoffie, il lavoro d’ufficio. Ma questo da sempre”. La parte più gratificante, invece, “è stare con la gente. Sentirsi vescovo. E, dunque, accompagnare i fedeli, i sacerdoti, il popolo di Dio nel loro cammino”. Quando penso – aggiunge – “che incontrerò la gente, che riceverò il sorriso di un bambino, di un anziano, anche il lavoro burocratico diventa più leggero”.Toccante il saluto finale. “Non lasciatevi rubare la speranza. La vita può regalare belle sorprese. Possiamo fare molto. Il Signore può fare grandi cose con noi”. E ancora: “Grazie per quello che fate. Grazie per avermi permesso di dialogare con voi. Vi chiedo di pregare per me, non dimenticatevi. E ricordate: se stringete la mano della Vergine non può accadervi niente di male. Grazie”.