Coronavirus. A Betlemme chiusa la Natività. La Palestina ripiomba nel lockdown
«La basilica della Natività è chiusa. E la piazza antistante, il cuore della città, punto di incontro per ogni attività, è vuota». Lo sgomento per la seconda ondata di contagi, dopo il primo lockdown di marzo e aprile, è tutta nelle parole di Vincenzo Bellomo, il responsabile dei progetti di Pro Terra Sancta a Betlemme.
«Pensavamo di essere stati abbastanza fortunati e stavamo cercando di reimpostare tutto il nostro lavoro con progetti di sostegno alla popolazione, gravemente colpita dalla crisi economica causata dal blocco dei pellegrinaggi». Dopo la chiusura generalizzata a marzo e aprile, a maggio si sperava infatti di avere superato la pandemia con poche decine di casi. Invece l’emergenza sanitaria è tornata in pieno, e fa paura: sono 356 le nuove infezioni registrate martedì in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est con numeri percentualmente altissimi rispetto al totale della popolazione. Secondo il ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese il totale dei contagiati è ora arrivato a 11.875. Sono 16 i casi gravi e 70 le vittime. E soprattutto, nel giro di in un mese, i contagiati si sono decuplicati, riportando i Territori in allarme rosso.
Ancora più drammatica la situazione in Israele, dove giovedì si è superata la soglia record dei 2mila contagi in 24 ore. Il ministero della Sanità israeliano ha fatto sapere che le infezioni sono state 2.032 portando il totale da inizio pandemia a 56.748 casi. Di questi, 32.755 sono in fase attiva con 295 pazienti in gravi condizioni e 79 collegati ai ventilatori. Sono 433 le vittime, tre delle quali nelle ultime 24 ore. Intanto la Knesset ha approvato una legge che dà al governo maggiori poteri di imporre misure sanitarie restrittive e di fatto consente di prendere misure d’urgenza nel giro di 24 ore senza dovere consultare il Parlamento.
In Palestina la pare più colpita dal contagio continua ad essere il governatorato di Hebron nel sud della Cisgiordania, ma l’infezione divampa anche a Gerusalemme Est che, nonostante sia controllata da Israele, l’Anp calcola nelle sue statistiche. Per scoraggiare la circolazione fra le diverse province dal 5 marzo sono stati imposti dei check-point che rendono molto faticosi gli spostamenti quotidiani, anche solo per fare la spesa. La scorsa settimana il premier dell’Anp Mohammad Shtayyeh ha imposto una chiusura totale con una deroga particolare per fornai e farmacie. Il governo ha minacciato pene severe nei confronti di eventuali trasgressori, ma questo non ha fermato le proteste di piazza: senza sussidi e in assenza di un vero Stato sociale, la popolazione non ha accettato una serrata totale. Ma di fatto tutte le attività sono ferme e lo stato d’emergenza è già stato prorogato fino al 5 agosto.
Pesantissimo l’impatto economico. «Qui a Betlemme almeno l’80% delle famiglie vive di turismo o del suo indotto: negli ultimi due anni si era registrata una certa ripresa e si erano pure avviati piccoli investimenti», spiega Bellomo. Invece, da marzo, non si è visto più un solo pellegrino. «E quindi quasi tutte le famiglie sono senza reddito», spiega Bellomo. Solo chi ha il permesso di lavoro per Israele riesce a continuare la sua attività, ma deve accettare di fermarsi a dormire 14 giorni in Israele come forma di precauzione imposta per non diffondere il contagio.
«Drammatica pure la situazione della scuole private, per cui le famiglie non possono più pagare le rette. La scuola tecnica dei salesiani, attiva da 70 anni, è stata costretta a chiudere. Come sono fermi tutti i progetti di solidarietà che sostenevano ad esempio il Caritas Baby Hospital o l’Istituto Effatà per piccoli sordomuti». Chiuso pure il seminario minore di Beit Jala.
L’ong Pro Terra Sancta ha intanto avviato una produzione artigianale di 5mila mascherine da distribuire gratuitamente a tutte le istituzioni religiose ed educative cristiane. Per ora i cristiani resistono grazie alla vasta rete familiare, dando fondo ai risparmi di due anni fortunati per il turismo. «Ma la sopravvivenza della piccola comunità è più che mai a rischio».
E per guardare al futuro si lavora a un sogno: fare della “Casa dei magi”, antistante alla Basilica della Natività e comprata grazie a un finanziamento della Cei, il primo centro di orientamento professionale della Palestina: «Un modo per dare dignità al lavoro, qui basato sulla wasta, la raccomandazione», conclude Vincenzo Bellomo. La prima sfida è trovare i fondi per ristrutturarla e dare lavoro, per un anno, a 30 famiglie.