Lahore. Pakistan, «vili ricatti» sui detenuti cristiani
Il siombolo. Protesta delle donne a Lahore per Asia Bibi
Le pressioni per la conversione dei cristiani alla fede islamica in Pakistan sembrano non avere limiti. E, mentre da un lato una magistratura laicista e fautrice dello Stato di diritto cerca di contenere le richieste degli islamisti di giudizi sommari in base alla sharia, dall’altro è un pubblico ministero a chiedere la conversione di prigionieri cristiani in cambio di un provvedimento di clemenza. La notizia che il procuratore Syed Anees Shah ha segnalato a decine cristiani di cui era in corso il giudizio davanti a un tribunale anti-terrorismo in Lahore, nella provincia del Punjab, di «garantire il loro rilascio» se si fossero convertiti all’islam ha sollevato forti polemiche nel Paese. Leader religiosi e attivisti cristiani hanno chiesto di aprire un’indagine sull’episodio e avviare provvedimenti contro il pubblico ministero, che ha prima negato ogni addebito ma ha poi confessato, motivando la sua azione con la volontà di offrire una possibilità agli accusati.
I 42 battez- zati erano stati arrestati con l’accusa di avere linciato due musulmani dopo l’attacco dinamitardo di matrice taleban contro due chiese–- una cattolica e una protestante – nel quartiere di Youhanabad a Lahore. In quell’evento del 15 marzo di due anni fa i morti furono una quindicina e una settantina i feriti. Un «vile ricatto», quello del offerto in un’aula di giustizia, simile a quello proposto alla cattolica Asia Bibi, in carcere da 2.838 giorni, condannata a morte per offesa all’islam ma salda nella sua fede in attesa di una decisione definitiva della Corte suprema che si fa attendere. Più volte la madre aveva ribadito che la sua fede è viva» e non si «convertirà mai». Secondo l’avvocato cristiano Nadeem Anthony, non un’eccezione, ma invece «una pratica comune» quella attuata sui detenuti. «Queste imposizioni – ha segnalato Anthony – sono ovvie in un contesto di persecuzione religiosa». Come ricorda l’agenzia missionaria AsiaNews, sono in molti nel Paese a essere costretti a conversioni forzate con vari espedienti.
Il caso più noto e anche più condannato dalle organizzazioni per i diritti umani all’interno e all’estero è quello delle donne cristiane e indù – un migliaio ogni anno – costrette a convertirsi per sposare uomini musulmani dopo il rapimento e lo stupro. Sovente senza potere far più ritorno alle famiglie d’origine. «Il pubblico ministero può essere denunciato per quest’atto discriminatorio. Abbiamo intenzione di incontrarlo presto – ha affermato ancora a AsiaNewsil pastore Arshad Ashknaz della Chiesa di Cristo, una delle chiese colpite a Youhanabad –. Il governo dovrebbe respingere questa iniziativa. La paura della morte può spingere chiunque a cambiare religione».