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Islamabad. Pakistan, ucciso avvocato anti-blasfemia

Stefano Vecchia venerdì 9 maggio 2014
Dopo le minacce di morte e cinque precedenti aggressioni, è stato ucciso nella serata di mercoledì Rashid Rehman Khan, uno dei più noti e coraggiosi attivisti per i diritti umani del Pakistan. Khan è stato crivellato di colpi da due assalitori nel suo studio. Un collega e un cliente che si trovavano nella stanza sono rimasti feriti da cinque dei 24 proiettili sparati contro Khan.L’ucciso era coordinatore della Commissione per i diritti umani del Pakistan e attivo in diversi movimenti per i diritti civili, ma da tempo aveva indirizzato passione e professionalità nella difesa di quanti finiscono sotto processo in base agli articoli del Codice Penale che collettivamente sono conosciuti come "legge antiblasfemia".Proprio di recente, in collegamento con la sua difesa del musulmano Junaid Hafiz, ricercatore universitario accusato di oltraggio al profeta Maometto, aveva ricevuto minacce di morte che aveva denunciato pubblicamente ed era stato aggredito verbalmente nell’aula del carcere di Multan dove sono in corso le udienze. A fianco dello sciopero dei colleghi del foro di Multan, ieri commozione e manifestazioni spontanee per l’ennesimo assassinio di un uomo dedito alla giustizia nel secondo Paese musulmano al mondo colpito da un crescente estremismo religioso che ha come vittime prime le minoranze e le fasce più deboli della popolazione.Khan è la terza personalità vittima del suo impegno a combattere una legge nata come in molte altre realtà islamiche e non islamiche per garantire la fede di maggioranza ma subito strumentalizzata per altri fini. Prima di lui sono caduti, nel gennaio 2011, il governatore musulmano della provincia del Punjab Salman Taseer e due mesi dopo il ministro federale per le Minoranze, cristiano, Shahbaz Bhatti che avevano difesa Asia Bibi in carcere a Multan da 1.785 giorni.Una situazione che sembra per molti aspetti disperata per le minoranze religiose. Tuttavia, ricorda in un’intervista ad AsiaNews Paul Bhatti, fratello di Shahbaz e a sua volta ex ministro per l’Armonia religiosa, per prevenire atti di violenza e accuse in nome della blasfemia, «non basta solo cambiare la legge sulla blasfemia, ma è necessario lavorare alla radice, convincere chi sostiene questa legge e instaurare un dialogo diretto». Come è stato, ricorda Bhatti, per la 14enne Rimsha Masih scarcerata prima del processo per la palese infondatezza delle prove e per l’appoggio ricevuto da molti settori della società, musulmani inclusi.