Minoranze nel mirino. Pakistan, scatta sul Web la «trappola-blasfemia»
Fondamentalisti islamici in piazza a Lahore contro l'assoluzione e la liberazione di Asia Bibi (Ansa)
La recente insidia, ormai è assodato, sono i telefonini. Perché nessun ambito della vita sociale sembra essere più risparmiato per diffondere l’accusa infamante di blasfemia. Nemmeno uno sport idolatrato dai pachistani come il cricket, di cui sono praticanti due ragazzi cristiani di 17 e 19 anni che sono stati arrestati il 29 giugno a Bahawalnagar, nella provincia del Punjab, dopo che erano usciti di casa per un allenamento. Noto, in particolare il maggiore d’età, Sunny Waqas, per quelle che il fratello Reza ha definito «eccezionali capacità nel gioco», che lo avevano reso «molto popolare» tra coetanei e appassionati.
Questo apparentemente non lo aveva messo al riparo da una vendetta motivata da ragioni personali o da odio di fede. Pochi giorni prima della scomparsa, aveva infatti avuto un diverbio con i compagni di allenamento musulmani e successivamente aveva ricevuto via Whatsapp le immagini compromettenti che sarebbero state ritrovate nel suo telefono a seguito di una denuncia di cui ancora non è nota la fonte. Dopo che la polizia aveva negato l’arresto, la famiglia ha avuto la certezza della sua incarcerazione nella prigione di Bahawalnagar. Restano notizie discordanti sulla sorte dell’amico più giovane, come pure sul contenuto della denuncia che per essere valida e accolta dalla polizia deve essere sostenuta da un religioso musulmano. La testimonianza della madre, raccolta da attivisti locali per i diritti umani esprime l’incredulità davanti all’accusa, dato che Sunny avrebbe sempre mostrato «sensibilità verso la religione e il dialogo»'. International Christian Concern (Icc), organizzazione con base negli Stati Uniti impegnata a monitorare la persecuzione religiosa, ha diffuso le informazioni disponibili sulla vicenda e denunciato la falsità di un’accusa sostenuta da individui che sanno di potere contare sull’immunità. La vicenda dei due giovani indica come l’arbitrio sembra andare di pari passo con l’inasprimento della legge che dovrebbe tutelare la fede islamica da interpretazioni errate e attacchi. Una politica coerente di controllo di Internet è stata avviata in Pakistan nel 2016 con l’entrata in vigore della Legge per i crimini elettronici, preceduta nel 2008 da un breve stop a Internet voluto dall’Autorità pachistana per le telecomunicazioni e da successivi blocchi temporanei e limitati di diversi siti, tra cui Wikipedia, Flickr e Facebook ma solo la nuova legge ha portato restrizioni concrete verso i siti all’individuazione e all’incriminazione di individui accusati di diffondere materiale considerato offensivo per la fede. Dei tanti casi di «blasfemia informatica», quello di Mashal Khan è stato particolarmente significativo per la sua efferatezza e per il dibattito che ha suscitato.
Accusato nell’aprile 2017 di avere postato su Facebook materiale blasfemo, Mashal venne linciato a Mardan dai compagni di università, pure musulmani, nonostante da tempo avesse segnalato la presenza di un falso account a suo nome. Dopo questo “caso” gli utenti telefonici iniziarono a ricevere messaggi dall’Autorità per le telecomunicazioni in cui si ricordava che la diffusione di contenuti blasfemi in Internet era punibile severamente e che la loro visione comportava l’obbligo della denuncia. Un avvertimento tardivo per il trentenne Taimur Reza che nel giugno dello stesso anno veniva condannato a morte, primo nel Paese, per l’accusa di avere diffuso materiale blasfemo con il mezzo informatico. Si calcola che a fine 2018 siano stati quasi 40mila i siti chiusi per questa ragione e le denunce proseguono al ritmo di 400 al giorno. In buona sostanza, con 40 milioni di pachistani che hanno accesso a Internet su 210 milioni complessivi, il contrasto alla blasfemia si è trasferito sulla rete, come pure la (vera o presunta) diffusione di questo genere di crimine. Su Internet però, come marginalmente via Sms, viaggia anche la resistenza a una estremizzazione che non è più solo della religione ma anche della Giustizia.
Certo è che l’applicazione indiscriminata della legge sulla blasfemia sta avendo un effetto paralizzante per la società civile e non solo quando si affrontano temi sensibili, perché in generale risulta rischioso affrontare ogni argomento anche lontanamente riferibile alla religione. Rischi che pochi sono disposti a correre. Tra questi Shaan Taseer, figlio del governatore del Punjab Salman Taseer che le idee progressiste, la tolleranza e la vicinanza alla «blasfema» Asia Bibi hanno portato alla morte per mano di un estremista il 4 gennaio 2011. La sua pagina su Facebook intitolata «Lettere a Asia» è stata uno dei pochi spazi di confronto e di conforto per Asia Bibi, in cui gente di ogni credo ha potuto postare messaggi di solidarietà e di speranza.