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Intervista. «Riporteremo a casa la piccola Huma, il Pakistan non perderà la speranza»

Antonella Mariani sabato 21 dicembre 2019

L’avvocata Tabassum Yousaf sta lottando per riportare a casa Huma

Riportare la 14enne Huma a casa. Consentire a lei, a sua padre, a sua madre e alla sorella minore di celebrare il Natale insieme. Accanto ai genitori analfabeti e poverissimi, l’avvocata Tabassum Yousaf ha ingaggiato una dura battaglia perché il rapitore e ora suo sposo secondo la legge coranica, un giovane musulmano, sia assicurato alla giustizia. L’abbiamo intervistata via Skype, lei ha risposto alle domande con serenità e fermezza, seduta nel salotto della sua casa di Karachi.

Avvocata Yousaf, come è nato il suo impegno accanto alle minoranze perseguitate in Pakistan?
È nato perché ho incontrato la Comunità di Sant’Egidio a Karachi, e dal 2007 come volontaria ho toccato con mano la povertà. I sacerdoti ci parlavano del ruolo importante delle donne nella Bibbia e nella comunità cristiana. Poi però, studiando legge, mi sono imbattuta in un destino diverso delle donne pachistane: troppi casi di violenza domestica, di palesi ingiustizie, di emarginazione sociale. Ho riflettuto su quanto vulnerabili siano le donne nel mio Paese. Ed eccomi qui, ad occuparmi di Huma Younas.

L’8 agosto scorso lei ha presentato pubblicamente una lista di 10 richieste, elaborata con il cardinale Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, e di leader di diverse fedi, per la protezione delle minoranze e in particolare contro le conversioni forzate. Cosa è cambiato da allora?
La nostra prima richiesta, cioè l’innalzamento dell’età minima per contrarre matrimonio da 16 a 18 anni è ora esaudita. Per quanto riguarda gli altri nove punti, niente è cambiato. Chiediamo tutele legali contro i rapimenti e le conversioni forzate, che, pur non essendo consentiti nemmeno dalla religione musulmana, coinvolgono ogni anno in Pakistan almeno 1.000 ragazze cristiane e indù. Abbiamo chiesto leggi per evitare le discriminazioni e l’assegnazione alle minoranze di una quota delle borse di studio offerte dal governo pachistano e da governi esteri.

Il premier Imran Khan lo scorso 30 luglio, nella Giornata delle minoranze, ha condannato le conversioni forzate e ha invitato tutti a proteggere i non musulmani. È stato ascoltato?
Le minoranze non si accontentano di essere tutelate! Noi non vogliamo solo protezione. Noi chiediamo lavoro, istruzione, crescita economica. Senza istruzione e senza lavoro come possiamo essere uguali? Nella Costituzione c’è scritto che tutti abbiamo gli stessi diritti, senza riguardo al sesso e alla religione. Ma i non-musulmani non sono uguali agli altri. Il caso di Huma lo dimostra: quando i genitori ne hanno denunciato il rapimento, la polizia ha cercato di dissuaderli, continuando ad interrogarli e a credere al suo rapitore, che invece sostiene che la ragazza ha 18 anni e sta con lui per sua volontà. Eppure ho mostrato i suoi documenti, sia l’atto di nascita datato 2005 sia i certificati di battesimo.

Da sette anni, accanto alla Commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi di Karachi, difende le famiglie di ragazze cristiane rapite e costrette al matrimonio e alla conversione all’islam. C’è un caso che ricorda in modo particolare?
Non sarebbe giusto parlare di uno solo, perché per me sono tutti importanti. Ora voglio concentrarmi su Huma, voglio che i suoi rapitori siano arrestati e che lei torni alla sua famiglia. Desidero che questo caso diventi un precedente, un esempio, e che nessuno più rapisca una minorenne cristiana. Prima di 18 anni in Pakistan non si può votare, né ottenere un documento di identità, come può una giovane dare il consenso alle nozze e alla conversione religiosa? La famiglia di Huma è stata intimidita, la sorella più piccola minacciata di subire la stessa sorte. I rapitori hanno avvisato i genitori che se continuano a insistere li avrebbero accusati di blasfemia (lei stessa è stata minacciata, <+CORSIVO50>ndr<+TONDO50>), un reato punito anche con la pena di morte. Sono spaventati, e questo dimostra che per le minoranze in Pakistan non c’è giustizia.

I genitori di Huma si sono appellati a papa Francesco, Aiuto alla Chiesa che soffre si è mobilitata. Crede che possa essere decisivo accendere i riflettori del mondo su questo caso, com’è avvenuto con Asia Bibi?
Asia Bibi è stata processata per blasfemia. Il caso di Huma è diverso perché riguarda i matrimoni e le conversioni forzate di minori. Si tratta di diritti umani e il mondo deve sapere. La visibilità può servire. Dobbiamo costringere il Paese ad applicare la legge sull’età minima del consenso e non quella coranica. Noi chiediamo rispetto reciproco per tutti i cittadini del Pakistan.

In questo suo impegno per i cristiani perseguitati lei si è esposta molto: ha partecipato a sit-in, parla con ministri, giudici e capi musulmani di tribù locali. Non teme per la sua sicurezza?
Nel mio lavoro ci sono elementi di rischio, ma seguo l’insegnamento di Gesù, che diede la sua vita per la redenzione di tutti e per amore dell’umanità tanto da perdonare perfino chi lo portò alla Croce. Con questo esempio in mente, io lotterò fino all’ultimo respiro per Huma e per le altre ragazze abusate. Lo devo alla mia gente. In loro, nelle persecuzioni che subiscono, vedo Gesù.

La sua famiglia condivide questa decisione?
Ho difeso numerose famiglie cristiane le cui figlie erano state rapite. I miei figli e mio marito capiscono. Mi dicono: stai attenta e fai quello che devi.

La famiglia di Huma è molto povera. Aiuto alla Chiesa che soffre pagherà le spese, e lei stessa ha offerto la sua assistenza legale gratuita. I suoi figli hanno destinato a questa causa i regali di Natale. Non è un sacrificio eccessivo, per due bambini?
I miei figli mi hanno detto: non abbiamo bisogno di regali, risparmia i soldi per aiutare Huma, in modo che possa tornare dalla sua famiglia a celebrare il Natale con loro. Ma i miei bambini sono abituati a fare piccoli sacrifici: frequentando la Comunità di Sant’Egidio, ogni anno preparano regalini per i più poveri. Sanno che c’è un tempo per festeggiare e un tempo per risparmiare. E un tempo per condividere con gli altri.