Asia. Pakistan, confermata la condanna a morte per due cristiani accusati di blasfemia
Proteste contro la persecuzione di cristiani in Pakistan nel 2018
È stata confermata la condanna a morte per due fratelli cristiani accusati di blasfemia via Internet e in carcere dal 2011. L’8 giugno i giudici dell’Alta corte del Punjab nella sede di Rawalpindi hanno negato il riesame del processo di primo grado e l’assoluzione per Qaiser e Amoon Ayub che nel giugno di 11 anni fa furono denunciati alla polizia del commissariato di Tagalang da un loro conoscente, Muhammad Saeed.
Per Saeed, il fratello maggiore Qaiser avrebbe postato in Internet materiale blasfemo da lui stesso visionato e per questo la polizia è stata costretta ad aprire un’indagine in base agli articoli 295A, 295B e 295C del Codice penale, ovvero quelli connessi con il reato di blasfemia verso la religione, il Corano e il profeta Maometto. Incarcerati, hanno dovuto attendere fino a dicembre 2018 per affrontare un processo finito con una sentenza di colpevolezza. Un successivo giudizio suppletivo guidato dal giudice Javed Iqbal Bosal, li ha condannati a morte e al pagamento di 100mila rupie pachistane (circa 450euro).
La richiesta di appello avanzata all’Alta Corte contro la pena capitale ha portato al giudizio del 28 febbraio scorso ma si sono dovuti aspettare oltre tre mesi per la sentenza di conferma della sentenza che potrebbe essere cancellata soltanto da un giudizio della Corte suprema, finora dimostratosi in molti casi favorevole agli accusati di blasfemia.
I due fratelli hanno sempre professato la loro innocenza sostenendo che le accuse erano state presentate solo dopo che era scoppiata una contesa tra Qaiser e alcuni sui amici musulmani. Il fratello minore ha più volte dichiarato che il blog incriminato e che apparirebbe a loro nome sarebbe stato in realtà creato da alcuni amici del fratello utilizzando le informazioni estorte a Qaisar.
Dopo l’ultima sentenza, Nasir Saeed, direttore di Claas-Uk, organizzazione di tutela legale per i cristiani accusati in Pakistan del reato di blasfemia che cura anche la difesa dei due fratelli ha dichiarato: “Tutti speravamo che, dato che la corte si era riservata di emettere il verdetto e che avevano preso così tento tempo per emetterlo, le accuse sarebbero state lasciate cadere e i due sarebbero stati liberati”. Al contrario – ha proseguito Saeed – l’Alta corte ha confermato la sentenza di morte e ora porteremo il caso davanti alla Corte suprema con la speranza che il massimo organo giudiziario faccia giustizia e che, a Dio piacendo, siano liberati”.