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Pakistan. Appello a 11 donne italiane per Huma, la sposa-bambina rapita

Stefano Vecchia mercoledì 18 dicembre 2019

Huma Younus, 14 anni

Si estende il sostegno alla ragazza pachistana Huma Younus, 14 anni, rapita e costretta alla conversione e al matrimonio con un musulmano, uno dei tre che l’avevano sequestrata due mesi fa a Karachi. Impossibile per la famiglia ottenerne la restituzione finora e la battaglia legale si presenta lunga e complessa. Risultato insieme della costante tensione in Pakistan tra la legge civile e quella religiosa islamica e della difficoltà per le minoranze di far riconoscere i diritti essenziali.

La vicenda di Huma, ancora più dolorosa per la sua giovane età, sta diventando un simbolo e la sua difesa uno spartiacque tra legalità e arbitrio. Anche per questo il suo caso, già seguito a Karachi dalla commissione nazionale Giustizia e pace e da gruppi per la difesa legale delle minoranze ha ottenuto l’attenzione di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), convinta che «come ci ha insegnato la vicenda di Asia Bibi, l’eco mediatica e la pressione internazionale hanno il potere di salvare delle vite umane». Per questo, la fondazione è entrata in campo ieri, «per tenere alta l’attenzione sul caso». Per dare maggior risalto e forza al suo impegno, Acs ha chiesto, con una lettera, l’intervento di undici influenti donne italiane in virtù «della Vostra capacità di incidere sull’opinione pubblica italiana e per le Vostre battaglie a difesa della dignità della donna».

Si tratta di Chiara Amirante (fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti); Lucia Annibali (avvocata e politica); la giornalista e conduttrice Lucia Annunziata; il ministro per le Pari opportunità Elena Bonetti; l’avvocata, senatrice ed ex ministro Giulia Bongiorno; Mara Carfagna, vicepresidente della Camera dei Deputati; la presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia; la conduttrice e attrice Michelle Hunziker; Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia; la giornalista e conduttrice Barbara Palombelli; la giurista Livia Pomodoro. La fondazione ha pure deciso di sostenere i genitori che, pur conoscendo l’identità del sequestratore, «si sono trovati di fronte a un muro di gomma, esattamente come la quasi totalità dei genitori cristiani e indù le cui figlie affrontano lo stesso calvario di Huma».

Una situazione che rafforza il senso d’impunità. Inoltre, i genitori ma anche l’avvocato Tabassum Yousaf che ne sostiene le ragioni – ricorda Acs – sono stati accusati di blasfemia, un reato che in Pakistan è punito severamente, anche con la pena capitale. In questa situazione, «sostenere Huma – si legge nella lettera aperta inviata da Aiuto alla Chiesa che soffre – significa creare un prezioso precedente giuridico che permetta a centinaia di famiglie di ottenere giustizia e di riportare le proprie figlie a casa».

La battaglia dei genitori per ottenere giustizia

Studentessa delle medie, rapita il 10 ottobre dalla sua casa approfittando dell’assenza dei genitori, la 14enne Huma Younus è stata da allora sottratta alla famiglia che a fatica è riuscita a far registrare la denuncia dalla polizia due giorni dopo la scomparsa.

Dati i molti casi precedenti, risulta difficile credere che, come lei stessa ha fatto sapere ai genitori, la giovane si sia unita volontariamente al rapitore ora suo sposo secondo la legge coranica e abbia accettato di stabilirsi a Dera Ghazi Khan, città a 600 chilometri da Karachi. Il suo caso è stato definito dal direttore della commissione nazionale Giustizia e Pace «un atto criminale», ciononostante i rapitori hanno fatto ricorso all’Alta corte della provincia del Sindh per chiedere che alla famiglia d’origine sia tolta ogni giurisdizione sulla ragazza. Per il sequestratore-sposo, Huma – registrata all’anagrafe come nata nel 2005 – avrebbe già raggiunto la maggiore età e sarebbe quindi libera di scegliere la nuova condizione.

Per la tutela legale sua e della famiglia si è attivata l’avvocata cristiana Tabassum Yousaf. Aiuto alla Chiesa che soffre ha deciso di coprire tutte le spese processuali nel tentativo di arrivare a una soluzione positiva della vicenda e avviare un dibattito che metta fine ai frequenti rapimenti di esponenti delle minoranze.