India. Padre Stan: «Sono allo stremo, aiutatemi». Ha il Covid ma non lo curano
Padre Stan Swamy ha 84 anni ed è malato grave di Parkinson
«Tossiva, la sua voce era debole, facevo fatica a sentirlo. È stata una telefonata breve, meno di cinque minuti. Da quando è stato arrestato, l’8 ottobre scorso, era stato lui a tranquillizzarmi. Mi ripeteva: “Resisto, posso sopportare”. Ieri, invece, per la prima volta, mi ha detto: “Sto male, sono allo stremo. Mi sento debole, ho la febbre e fitte allo stomaco. Aiutatemi”. Temo abbia preso il Covid ma non si può sapere perché non gli fanno il test, come alla gran parte dei detenuti della prigione di Taloja, a Mumbai».
A lanciare il drammatico appello è Joseph Xavier, gesuita e tra i più cari amici del confratello Stan Swamy, in cella da 220 giorni per aver difeso i diritti della minoranza tribale degli Adivasi, nel Jhakarland indiano, dagli abusi dei latifondisti e delle forze dell’ordine. Come altri 15 attivisti – intellettuali, accademici, artisti, avvocati –, padre Stan è accusato di terrorismo in base alla draconiana “Unlawful activities prevention act”, varata dal governo nazionalista di Narendra Modi nell’agosto 2019.
Mese dopo mese, la salute del religioso, 84 anni e malato grave di Parkinson, è peggiorata. Con l’India nella morsa delle nuova ondata della pandemia, ora la situazione s’è fatta insostenibile. Con una capacità per 2.124 detenuti, il carcere di Taloja ne contiene almeno 3.500. Il distanziamento è, dunque, impossibile.
I casi accertati fra i prigionieri sono almeno quaranta ma potrebbero essere molti di più dato il bassissimo numero dei test effettuati. Il 3 maggio, l’accademico anti-caste Hany Babu – uno del “gruppo dei sedici” – ha contratto un’infezione all’occhio. Quando, dopo dieci giorni di richieste inascoltate, è stato finalmente portato in ospedale, aveva ormai perso la vista.
Gli esami hanno, inoltre, rivelato che il docente dell’Università di Delhi è malato di Covid. Sudhir Dhawale, un altro “dei 16”, condivide il padiglione con otto detenuti positivi: né lui né il resto degli attivisti incarcerati è stato vaccinato. Oltre alla carenza di spazi per l’isolamento e i tamponi, nella struttura mancano anche di medici specializzati, farmaci e dispositivi di protezione.
Finora, a prendersi cura dei malati – incluso Stan – sono tre dottori ayurwedici, costretti a ricorrere a rimedi casalinghi per alleviarne le sofferenze. Di fronte a questa situazione drammatica, le famiglie e gli amici dei sedici hanno scritto alle autorità di concedere ai propri cari i domiciliari. Ieri, inoltre, hanno lanciato un nuovo appello pubblico.
Finora, però, i tribunali speciali che esaminano i loro casi, si sono dimostrati inflessibili. Il 22 marzo, il giudice anti-terrorismo ha respinto l’ennesima richiesta di padre Stan. Uno spiraglio per quest’ultimo si è aperto con la decisione dell’Alta corte di Mumbai, di fronte alle proteste della difesa, di ordinare degli accertamenti sulla salute del gesuita. Gli esami dovrebbero svolgersi dalla prossima settimana. Potrebbe, però, essere già tardi.