Pakistan. Difese Asia Bibi e fu ucciso. Il figlio denunciato per «blasfemia»
Salman Taseer con Asia Bibi in carcere, il 4 gennaio 2011
L’accusa di blasfemia ha colpito ieri anche Shaan Taseer, primogenito del governatore pachistano della provincia del Punjab assassinato esattamente sei anni fa. Salman Taseer aveva preso le difese della cattolica Asia Bibi, da 2.754 giorni in carcere per oltraggio alla fede islamica e che attende il giudizio definitivo della Corte suprema sulla condanna a morte confermata in appello, ma si era anche pronunciato per una revisione della legge che consente di indagare e portare in giudizio per blasfemia un individuo accusato da un musulmano di questo reato anche in mancanza di prove concrete, come dimostrato in molti casi. Una “legge nera”, che però in tanti difendono.
Proprio ieri, oltre 150 persone sono state arrestate a Lahore quando cercavano di unirsi a una manifestazione – non autorizzata – convocata da alcuni gruppi fondamentalisti a favore delle legge sulla blasfemia in occasione del sesto anniversario dell’assassinio di Taseer. Il figlio rischia ora un’incriminazione per avere pubblicato sulla sua pagina Facebook un un messaggio natalizio di auguri ai cristiani, estrema minoranza nel suo Paese, e di solidarietà con chi si trova in carcere per accuse pretestuose che ne mettono a rischio la vita e definito «inumana « la legge antiblasfemia.
La polizia di Lahore, capoluogo del Punjab, da parte sua, ha finora avviato un’indagine dopo che, ha segnalato, è stata ritrovata una chiavetta Usb con il video all’esterno di un commissariato. Ancor più, però, Shaan Taseer rischia ritorsioni. Il video, infatti, ha spinto il movimento fondamentalista Sunni Tehreek a emettere un editto religioso, fatwa, che lo definisce passibile di morte per blasfemia e apostasia. Il sostegno di Taseer figlio ad Asia Bibi, infatti, lo rende «coinvolto alla pari nel crimine» di blasfemia. Lo stesso Mujahid Abdul Rasul, tra i leader del movimento, si è detto sconcertato dalle posizioni di Taseer: «Non capisco perché la famiglia Taseer continui a ripetere lo stesso errore. Suo padre è stato ucciso per questo, perché sta prendendo la stessa strada?». Una famiglia a rischio proprio per la sua influenza ma anche per la sua esposizione, quella Taseer.
Un fratello di Shaan, Shahbaz Ali, è stato liberato solo lo scorso marzo dopo quasi cinque anni nelle mani di sequestratori. Un episodio doloroso ma per molti aspetto ancora oscuro, di cui è incerta la matrice. Taseer non vive in Pakistan, anche se vi si reca frequentemente, ma ha indicato di sentirsi ugualmente in pericolo e ha accusato il Sunni Tehreek di incitare i suoi sostenitori a un nuovo assassinio dopo quello del padre. Il caso indica ancora una volta l’influenza degli estremisti religiosi sul Paese, e non a caso questi hanno chiamato a una protesta di massa se la polizia non procederà contro il musulmano Shaan Taseer per blasfemia. Lo scorso marzo, a decine di migliaia avevano partecipato ai funerali dell’assassino del padre, dopo la sua esecuzione, considerando Qadri un «martire» e un esempio da seguire. Sono circa 200 coloro finiti sotto processo nel 2015 per blasfemia, con una elevata percentuale di cristiani e altre minoranze, sebbene procedimenti e condanne riguardino soprattutto musulmani. L’accusa prevede fino alla condanna alla pena capitale.
Dal 1990 sono almeno 65 gli individui, inclusi avvocati e giudici, assassinati perché accusati o perché impegnati a fare giustizia. Una conferma di un uso strumentale della legge arriva dall’arresto di un cristiano residente in un villaggio nei presi di Lahore. Il 30 dicembre la polizia ha ricevuto una denuncia formale per blasfemia contro Babu Shahbaz, accusato dal musulmano Haji Nadeem di aver strappato e gettato in strada pagine del Corano. Shahbaz – come ricorda Fides – è sposato e padre di tre figli. Semi-analfabeta, è impegnato nell’organizzazione nella sua abitazione di incontri di preghiera.