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Il reportage. Pacifisti israelo-palestinesi ricordano le vittime in clandestinità

Lucia Capuzzi, inviata a Gerusalemme domenica 12 maggio 2024

Rima Joabra di Combatents for Peace e Guy Elhanan di The Parents' Circle che hanno presentato la cerimonia

«Chi sei e chi ti ha invitato?». La domanda è sempre la stessa. Il vigilante, all’entrata, la ripete con tono gentile a chiunque si accosti all’entrata. I nomi vengono controllati e spuntati dalla lista. Ogni partecipante riceve, poi, un braccialetto verde. Solo allora ha finalmente accesso all’enorme giardino dove si trova il teatro. Siamo in una località nel centro di Israele che non può essere rivelata. È una richiesta tassativa degli organizzatori della “Joint Memorial Ceremony, una cerimonia della memoria alternativa perché israeliani e palestinesi la celebrano insieme. Oggi è “Yom HaZikaron”, il giorno in cui lo Stato ebraico ricorda i caduti nelle guerre combattute a partire dal 1948 per rivendicare la propria esistenza. The Parents Circle e Combatents for Peace – due delle principali associazioni impegnate nella costruzione della pace nella terra compresa tra il Giordano e il mare -, a partire dal 2006, hanno deciso includere nel pianto collettivo “l’altra metà del dolore”, quello dei palestinesi. “La cerimonia “classica” è intrisa di retorica nazionalista. La condivisione e l’empatia nei confronti della sofferenza altrui, invece, diventa motore per trasformare il lutto in speranza di un presente e un futuro nonviolento. È l’occasione per rammentare a noi stessi e al mondo che l’occupazione, l’oppressione e lo scontro cruento non sono inevitabili. Abbiamo cominciato in qualche decina, poi siamo diventati centinaia e l’anno scorso, a Tel Aviv, eravamo in 15mila e altri 300mila hanno guardato la manifestazione via Web», racconta Carlie Rosenthal di Combatents for Peace.

Trecento invitati erano presenti alla cerimonia - Tal Badrak


Il massacro del 7 ottobre e la carneficina a Gaza non sono riusciti ad uccidere la capacità di tanti – di entrambi i popoli – di accogliere l’angoscia del vicino. Anche questo 12 maggio, dunque, la “cerimonia condivisa” si farà. Ma in modalità differente. «Il momento è delicato. Non potevamo, però, rinunciare: stare insieme è più importante che mai», spiega Robi Damelin, uno dei volti storici di The Parents Circle. L’evento, dunque, è stato registrato in un luogo privato e sicuro. E questa sera sarà trasmesso online. Per la diretta, sono state previste proiezioni pubbliche in cinque punti dello Stato ebraico e della Cisgiordania e in quindici città all’estero, da New York a Berlino.

Le musiciste Liane Haloya e Yael Deckelbaum - Tal Badrak

«I protagonisti assoluti saranno i bambini. Troppi hanno sofferto e stanno soffrendo: nei kibbutz del sud di Israele attaccati il 7 ottobre, negli alberghi dove sono stati evacuati, sotto le bombe di Gaza, nella Cisgiordania sigillata…”, prosegue Robi. Le cifre sono raccapriccianti. Trentasei minori sono stati assassinati nell’attacco di Hamas, trentanove sono stati sequestrati: Kfir e Ariel, di uno e cinque anni, sono ancora prigionieri. Per loro e per gli altri 130 ostaggi ancora prigionieri i parenti, sostenuti da decine di migliaia di persone, sono tornati in piazza ieri sera a Tel Aviv. I dimostranti hanno cercato di bloccare la principale l'autostrada: ci sono stati scontri con la polizia e tre familiari dei rapiti sono stati arrestati. Delle ormai 35mila vittime della Striscia in guerra rilevate dal ministero della Salute di Gaza, controllato dal gruppo armato, 14mila hanno meno di 18 anni. Cinquantamila minori sono alla fame e il flusso di aiuti si fa sempre più lento e complicato. «Piccoli senza volto, di cui non riusciamo a ricordare un solo nome», sottolinea la 77enne, il cui figlio David è stato ucciso da un attentatore palestinese nel 2002. «Una persona l’ha assassinato, non un’intera nazione», precisa mentre saluta e scherza, come suo solito, con i trecento invitati alla registrazione. Uno dopo l’altro prendono posto sulle poltrone in platea. Anziane con il velo accanto a ragazzine con il piercing, uomini in completo, giovani con le camicie colorate, qualcuno con la tunica. Un microcosmo incompleto stavolta. Mancano i palestinesi dei Territori, bloccati dal congelamento totale dei permessi per entrare nello Stato ebraico. Sono, comunque, riusciti ad essere presenti anche se non fisicamente. Ahmed Alhilo, residente a Gerico ma originario di Gaza e colonna di Combatents for Peace, invia un video, in cui racconta la morte di sessanta parenti nella Striscia dilaniata dal conflitto attuale. Ghadir, palestinese con cittadinanza israeliana, presta la voce e il corpo a Najala, gazawi di Khan Younis residente nei Territori dopo il matrimonio. «Non so da dove cominciare – dice attraverso la bocca di Ghadir per non esporre i familiari –: se dalle troppe volte in cui le autorità israeliane hanno rifiutato le mie richieste per far visita a mia madre a Gaza o dai miei genitori sfollati tre volte o da mia sorella, morta il 30 dicembre mentre cercava del latte da comprare per i suoi gemelli». «Mio figlio Laor era un dj. Amava la musica. Un giorno è uscito di casa per andare al Festival Nova a Reim e non è più tornato», le fa eco Michal Halev che non avrebbe mai pensato di diventare un’attivista. «Non so se lo sono. So che non voglio vedere altre madri soffrire come me». «Il solo modo per dare un senso al dolore di avere perso mia madre, Vivian Silver, fondatrice di Women Wage Peace, uccisa nel kibbutz Be’eri il 7 ottobre, è combattere perché simili atrocità non si ripetano – sottolinea Yonatan Zeigan –. E l’unico modo per riuscirsi è la pace. Mia madre aveva ragione anche se da ragazzino non capivo il suo impegno senza sosta. Solo la pace può darci sicurezza».

Yonatan Zeigan, figlio della pacifista Vivian Silver, uccisa il 7 ottobre - Tal Badrak

Già sicurezza. Quella che sogna Yuval, 12 anni, o Jude, 11. «Vorrei diventare presidente – dice il bambino di Gerusalemme Est – per aiutare i bambini di Gaza». A loro, le gemelle 15enni Inbar e Rona hanno inviato una lettera aperta, recitata all’unisono: «Sentiamo tanti continuare a ripetere che non dovrebbe importarci di voi. Ma a noi importa. Avete un riparo? Da mangiare? (…) Spero che un giorno ci vedremo faccia a faccia, senza muri di mezzo, e potremo parlare, gridare, ridere insieme. E camminare, mano nella mano, lungo la via della pace".