Insieme. In migliaia a Tel Aviv per invocare la pace tra israeliani e palestinesi
La folla alla Menora Arena di Tel Aviv
"It is time", è il tempo. A 268 giorni di distanza dal peggior massacro nella storia di Israele e dall'inizio della guerra più crudele su Gaza, il movimento per la pace ha deciso di lanciare un forte grido pubblico per chiedere l'immediato cessate il fuoco e l'avvio di un processo politico per risolvere la questione palestinese. Oltre cinquanta organizzazioni e individui di entrambi i popoli si sono riuniti nell'arena "Menora Mivtachim" di Tel Aviv per «dare un'opportunità alla pace». Ad accompagnarli, migliaia di persone da tutto il Paese. In realtà, è il secondo raduno dei gruppi per la pace israelo-palestinese. Si erano ritrovati già alla "Joint Memorial Ceremony" del 12 maggio - cerimonia alternativa per il giorno dei caduti nei conflitti dal 1948 -, ma in un luogo segreto nel centro di Israele e a porte chiuse.
Stavolta, invece, hanno voluto occupare la scena pubblica. Mostrando platealmente quanto già si sa anche se il mainstream mediatico internazionale finge di non accorgersene: il movimento per la pace è sopravvissuto al trauma del 7 ottobre e di quasi 40mila morti nella Striscia. Non era scontato nelle settimane successive alla strage. Cruciale la scelta di palestinesi e israeliani impegnati per il dialogo di continuare a parlarsi, dando voce alla propria paura, rabbia, diffidenza. E le testimonianze di un crescente numero di vittime del 7 ottobre per dire «non nel mio nome». Fra loro Elana Kaminka - mamma di Yanai massacrato a Zikim mentre cercava di fermare l'attentato di Hamas, a Zikim - Yaakov Godo, il cui figlio Tom è stato assassinato a Kissufim; Yotam Kipnis, figlio di Vivian Silver, volto simbolo del pacifismo israealiano e pilastro di Women wage peace; Noga Friedman, il cui partner Ido Rosenthal è stato ucciso in azione con la sua unità Shaldag; Liat Atzili di Nir Oz, rilasciata dopo 45 giorni di prigionia a Gaza e Maoz Inon, che ha perso gli anziani genitori per mano dei miliziani, e, insieme al palestinese Aziz Abu Sarah, è stato in prima linea nell'organizzazione dell'evento.
Pian piano le scritte: «Stop alla guerra» hanno cominciato a ricomparire alle manifestazioni contro il governo di ultra-destra di Benjamin Netanyahu accanto a quanti reclamavano la liberazione degli ostaggi e le dimissioni del premier per non aver impedito l'attacco di Hamas. Agli ultimi cortei del sabato, con decine di migliaia di persone, le voci pro-tregua sono diventate preponderanti. L'evento di lunedì notte è stato l'apice di questo percorso e l'avvio di un nuovo inizio. «L'idea è costruire una coalizione e lavorare insieme», ha sottolineato Maoz Inon. «E' qualcosa di nuovo. Possiamo avere un impatto solo se lavoriamo insieme nonostante le legittime differenze. Speriamo che sempre più gruppi aderiscano», ha aggiunto Aziz Abu Sarah, il cui abbraccio con Maoz ad Arena di Pace ha commosso papa Francesco e dodicimila persone sugli spalti.
Alla Menora Mivtachim c'erano persone e movimenti di vario orientamento: dai più radicali agli elettori della sinistra tradizionale fino ai moderati vicini a Benny Gantz. Oltre a figure clou come Yael Admi, una delle fondatrici di “Women Wage Peace”, Maya Savir, figlia di Uri, uno degli architetti degli accordi di Oslo, Mika Almog, nipote Shimon Peres. Nonché artisti quali Achinoam Nini, Sha’anan Streett, Yael Decklebaum, Ayala Ingedashet, Safaa Hathot, Nour Darwish, Lian Havila.
«La guerra non è un evento naturale, è una scelta dell'essere umano. E, in ogni momento, è possibile prendere una decisione differente e iniziare a fare pace. E' vero, in passato ci abbiamo provato e non ne siamo stati capaci. E allora? - ha ricordato lo storico Yuval Harari in un appassionato intervento -. Non siamo stati nemmeno così bravi a farci la guerra eppure questo non ci ha impedito di continuare a farne. Così siamo sull'orlo dell'abisso». L'unico modo per evitare il suicidio collettivo - hanno concluso nell'appello finale - è la pace. "It's time", è il tempo.