Per Haiti serve qualcosa di simile a "un piano Marshall". Lo afferma il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Dominique Strauss-Khan, invitando la comunità internazionale a lanciare un'iniziativa simile per la ricostruzione di Haiti. "Haiti è stata colpita dalla crisi dei prezzi alimentari e dei carburanti, poi dall'uragano e poi dal terremoto, e quindi ha bisogno di qualcosa di grande come un piano Marshall" afferma Strauss-Khan sul sito internet del Fondo."Non un approccio frammentario, ma qualcosa di più grande per la ricostruzione del paese, qualcosa di simile a un piano Marshall", aggiunge Strauss-Khan. Il Fmi ha promesso un prestito senza interessi di 100 milioni di dollari a Haiti per fornire rapidamente i fondi di emergenza necessari che il governo locale potrà utilizzare a sostegno delle attività fondamentali e delle importazioni. Le risorse saranno stanziate rapidamente, ha assicurato Strauss-Khan da Hong Kong: "La vera urgenza ora è salvare le vite umane. In alcune settimane sarà la ricostruzione". Nicolas Eyzaguirre, il direttore del Dipartimento per l'Emisfero occidentale, in un'intervista a Imf Survey online ha paragonato il terremoto che ha scosso Haiti agli uragani del 2008, che sono costati qualcosa come il 15% del pil (circa 900 milioni di dollari): "L'impatto del terremoto potrebbe essere molto maggiore, ma c'è ancora molta incertezza".
Una nuova forte scossa. Una nuova scossa di terremoto di magnitudo 6.1 oggi ha colpito Haiti, mentre sull'isola caraibica i timori di ulteriori violenze e di atti di sciacallaggio cominciano a diminuire e le truppe americane continuano a occuparsi della sicurezza durante la distribuzione di acqua e cibo. Secondo quanto riferito dal Geological Survey americano (Usgs), al momento non ci sono notizie di danni né di vittime provocati dalla nuova forte scossa che si è verificata alle 12:03 ora italiana e il cui epicentro è stato localizzato 42 chilometri a ovest-nordovest di Jacmel.
Ancora salvataggi miracolosi. Un bambino ed una bambina, di 8 e 10 anni, sono stati estratti vivi dalle macerie di una palazzina di due piani a Port-au-Prince. Lo riferisce la Cnn online. I due bambini sono stati tratti in salvo da un team di soccorso americano dei vigili del Fuoco e della polizia di New York, e trasportati presso l'ospedale da campo israeliano nella tarda serata di ieri (le prime ore del giorno in Italia). Il sito dell'emittente Usa non fornisce ulteriori dettagli.Alcuni funzionari di sicurezza francese hanno ritrovato viva una neonata di 23 giorni fra le macerie di una casa di Jacmel, una cittadina a sud di Haiti, devastata dal terremoto. Lo ha reso noto radio France Inter. La bambina, che da quanto ha riferito uno zio si chiama Elisabeth ed ha poco più di 20 giorni, è stata ritrovata in una piccola cavità fra le rovine di un'abitazione. Secondo quanto è stato riferito dalla radio, le operazioni di estrazione della piccola sono durate più di 5 ore. Elisabeth è stata portata in un ospedale da campo organizzato a Jacmel dai soccorsi americani.A settant'anni ha resistito per una settimana sotto le macerie della cattedrale di Port-au-Prince. Ena Zizi è stata salvata da una squadra di soccorso messicana guidata dal figli della donna che no ha mai perso le speranze di trovarla in vita. "Grazie a Dio, grazie a Dio" ha detto la donna portata prima in un ospedale della capitale haitiana, poi con un elicottero della Guardia Costiera a bordo della nave anfibia americana Bataan insieme con un bambino e con una ragazza di 24 anni. Tutti, si legge sul sito web della nave, sono stati curati e sono in condizioni stabili.Le Nazioni Unite hanno reso noto che ad oggi i team internazionali hanno estratto dalle macerie degli edifici crollati ad Haiti, a seguito del terremoto del 12 gennaio, 121 superstiti. "Abbiamo ritrovato 121 persone", ha detto la portavoce dell'Organizzaizone per il Coordinamento degli AffariUmanitari dell'Onu, Elisabeth Byrs, intervistata dall'Afp. Fino a ieri l'Onu aveva annunciato che erano state estratte vive 90 persone.
Otto giorni all'inferno. Otto giorni sono 192 ore, sono 11.520 minuti, sono una quantità insopportabile di secondi che là sotto sembrano non finire mai. Là, sotto le macerie di Haiti, ci sono persone che combattono per non lasciarsi andare. L’Onu ieri ha fatto sapere che «c’è ancora speranza», che le ricerche vanno avanti. Lo stesso hanno fatto gli americani, che continuano a scavare. Finora, hanno detto alle Nazioni Unite, sono state tirate fuori 90 persone, una ventina delle quali dopo il quinto giorno dal terremoto. E altre possono farcela. Ieri l’ultimo caso: una donna, Anna Zizi, è stata estratta, dopo sette giorni, ancora viva dalle macerie della cattedrale nazionale di Haiti a Port au Prince. Sopravvivere a lungo sotto le macerie non è un miracolo ma una prodigiosa combinazione di fattori favorevoli. In passato qualcuno ha resistito fino a 17 giorni. Gli esperti spiegano che molto dipende dallo stato psicofisico di chi resta intrappolato, e dalle micro-condizioni ambientali che si formano intorno a lui. Non esiste una regola scientifica che possa stabilire come e quanto e perché una persona possa sopravvivere e un’altra no. Ma esistono tappe codificate che accompagnano ogni esperienza. Almeno per quanto riguarda gli adulti, perché per i bambini, purtroppo, è tutto più difficile: il loro metabolismo non ancora del tutto maturo fatica a organizzare risposte adeguate allo choc. E poi generalmente la loro superficie corporea, più ridotta e delicata, finisce per essere maggiormente compromessa dallo schiacciamento.“Sindrome da schiacciamento”: è appunto questo che colpisce chi resta sotto un crollo. Barbara Maccagno, referente medico di Medici senza frontiere (Msf) per il “Progetto Haiti”, spiega come avviene il processo che spesso, purtroppo, conduce alla morte. «Tutto comincia con un danno alla circolazione e ai tessuti muscolari e cutanei – dice la dottoressa–. Gli organi schiacciati non riescono più a ricevere una quantità sufficiente di sangue ossigenato e subentra un’ischemia». Il passo successivo è la distruzione delle cellule muscolari del distretto interessato. «Questo innesca la liberazione di potassio e altri elementi normalmente presenti nelle cellule – continua Maccagno –, e anche acido lattico. Il corpo cerca di avere una reazione e forma un edema, che però, a lungo andare aggrava la situazione già compromessa». Il sangue in circolo si riduce, e subentra lo choc. Che porta alla morte. È un’evoluzione tutto sommato veloce. La dottoressa sottolinea che una compressione viene considerata «prolungata», ossia potenzialmente molto rischiosa, già dopo nove ore. Se una persona ha le gambe schiacciate, per esempio, dopo nove ore rischia di perderle. Per resistere là sotto giorni interi la superficie esposta deve essere ridotta. E si devono creare, come detto, situazioni micro-ambientali favorevoli. Aria, ovviamente. E acqua. «La mancanza di acqua riduce il volume dei liquidi nel corpo e porta rapidamente a un’insufficienza renale mortale». Quanto possa durare quel «rapidamente» è però relativo allo stato di salute di ognuno. La mancanza di calore può essere un fattore determinante, perché evita la dispersione di liquidi. Ad Haiti ora fa caldo, ma tra le macerie la temperatura è bassa.Non è però così vero, invece, che tutto dipenda dalla volontà. «In genere – spiega Maccagno – subentra uno stato di apatia, di confusione che in qualche modo “protegge” dalle emozioni». Sono rari i casi di persone che restano vigili tutto il tempo. Ma succede. «Sono stato 13 ore là sotto – ha raccontato ieri Carlos Peralta, un docente messicano estratto dalle macerie dell’Università di Port-au-Prince –. Ho cercato di suicidarmi, ma non ho trovato nessun oggetto tagliente». Poi ce l’ha fatta. Come Maxine Fallon, una studentessa salvata perché è riuscita a mandare un Sms. Altri aspettano, in quell’inferno. E la speranza corre contro il tempo.