Il caso. Ospedali Usa al collasso, esplode la polemica: «Non rianimare i Covid-19»
Una struttura sanitaria allestita nello Jacob Javits Convention Center a New York
Decine di ospedali americani hanno chiesto alle autorità statunitensi di emettere un ordine nazionale di «non rianimare» i pazienti affetti da Covid–19. E molti di loro stanno già considerando di attuare questo principio nei loro reparti. La notizia, resa nota da vari media Usa, è stata confermata ieri da singoli medici e da alcuni gruppi privati di servizi sanitari ai quali fanno capo numerosi nosocomi in New Jersey, Pennsylvania, Illinois, Tennessee, Wisconsin, Carolina del Sud e del Nord e Washington. Per ora Deborah Birx, coordinatrice della squadra di risposta della Casa Bianca al coronavirus, ha detto che una direttiva federale in questo senso «non è necessaria».
Ma molti medici le hanno risposto che una penuria di risorse e di personale li costringe già a limitare gli interventi che richiedono più forze e più equipaggiamento protettivo, come, appunto, la rianimazione. Il calcolo costi–benefici in atto in queste strutture considera la disponibilità di maschere, camici idrorepellenti e guanti, il rischio che il personale medico si esponga all’infezione e le condizioni dei malati.
Il Northwestern Memorial Hospital di Chicago, ad esempio, sta prendendo in considerazione una politica di non rianimazione per tutti i pazienti infetti, indipendentemente dai desideri del paziente o dei loro familiari. Ma prima di prendere una decisioni definitiva, Richard Wunderink, uno dei direttori del reparto di terapia intensiva della Northwestern, ha chiesto al governo dell’Illinois se la legge statale consente questo cambio di prassi.
I funzionari del George Washington University Hospital nella capitale americana hanno da giorni discussioni simili. Il Medical Center dell’Università di Washington a Seattle, dove la diffusione dell’epidemia negli States è cominciata, sta già riducendo fortemente il numero di pazienti che hanno diritto a un intervento d’urgenza in caso di arresto cardiaco. Gli operatori sanitari sono tenuti al giuramento – e in alcuni Stati, anche dalla legge – a fare tutto il possibile entro i limiti della tecnologia disponibile per salvare una vita umana. Ma di fronte all’aumento di casi di coronavirus ci si può aspettare che questo principio non venga sempre rispettato, spesso per tutelare la salute degli operatori sanitari e la loro capacità di continuare a lavorare.
Diversi grandi sistemi ospedalieri – Atrium Health in Carolina del Sud e del Nord, Geisinger in Pennsylvania e le reti regionali Kaiser – stanno esaminando linee guida che consentirebbero ai medici di ignorare i desideri del paziente affetti da Covid–19 o dei membri della sua famiglia in caso un intervento ravvicinato o invasivo metta a rischio medici e infermieri, o provochi una carenza di dispositivi di protezione. Lewis Kaplan, chirurgo dell’Università della Pennsylvania, ha confermato che i colleghi di diverse istituzioni sostengono la necessità di modificare le prassi di intervento. E Tim Dellit, Chief Medical Officer della scuola di medicina della University of Washington, ha affermato di aver già preso la decisione di inviare il minor numero di medici possibile per aiutare un paziente in «codice blu».
Di solito in un ospedale, in caso di «codice blu», o arresto cardiorespiratorio, tutto il personale disponibile, dalle otto fino a 20 persone, si precipita nella stanza per iniziare le procedure di salvataggio senza le quali la persona quasi sicuramente perirebbe. La modifica o l’eliminazione di tali protocolli diminuirà le possibilità di sopravvivenza di alcuni pazienti. Ma gli amministratori e i medici degli ospedali sostengono che sono necessarie per salvare il maggior numero di vite possibile.
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