Per i leader ecclesiali dell’Orissa, «una sentenza che rafforza il nostro impegno », ma per altre voci della Chiesa indiana, una decisione non adeguata all’entità dell’aggressione subita dai cristiani in quelle terribili giornate di un anno fa. « Fumo negli occhi » definisce la sentenza padre Anand Muttungal, portavoce del Consiglio dei vescovi cattolici dello Stato del Madhya Pradesh. «Un provvedimento preconfezionato che non è proporzionati ai crimini commessi. L’insufficienza di prove addotta per condanne tanto miti e anche per le assoluzioni, sembra indicare la volontà di salvaguardare i veri colpevoli». La sentenza con cui a Phulbani, uno dei due tribunali appositamente costituiti nello Stato orientale indiano di Orissa ha condannato il 7 settembre con un procedimento per direttissima a quattro anni di carcere e a una multa equivalente a circa 25 euro ciascuno sei estremisti indù, arriva ancora una volta troppo tardi ed è alla fine poco punitiva. Certamente non esemplare per soddisfare la sete di giustizia di quanti hanno subito le violenze settarie scatenate il 23 agosto 2008 dall’uccisione – la cui responsabilità era stata fatta ricadere sui cristiani – di Swami Laxmananda Saraswati, tra i responsabili delle tensioni che da tempo scuotono le aree a maggioranza tribale e dalit dello Stato. Ancora una volta, i sei estremisti, parte di un gruppo di 11provenienti dallo stesso villaggio del distretto di Kandhamal, finiti sotto processo e gli unici condannati, sono stati accusati di «rivolta e incendio». Restano così ancora ignoti organizzatori e mandanti della persecuzione anticristiana che portò all’uccisione di almeno 90 persone, alla distruzione di migliaia di case e di diversi edifici religiosi, alla fuga di 50mila cristiani, di cui ancora oggi a migliaia sono ospitati in campi profughi. Restano altresì al momento impuniti assassini, torturatori e stupratori. La polizia ha aperto indagini su 831 persone ma, come sottolinea la Chiesa locale, ha finora investigato su 310 casi e di questi 84 sono stati rinviati a giudizio. Ventitre i processati finora, nove le condanne. Un numero limitato di processi e condanne miti che, tuttavia, come suggerisce ancora una volta l’arcivescovo di CuttackBhubaneshwar, monsignor Raphael Cheenath in un’intervista a Uca News , « hanno rafforzato il morale della nostra gente». In particolare, le ultime condanne vanno convincendo i cristiani che « la giustizia è finalmente a portata di mano». Dello stesso parere, ma con un’esortazione alla cautela, è anche padre Ajay Singh, attivo tra le vittime dei disordini che ricorda come i cristiani locali abbiano, in una situazione potenzialmente esplosiva come quella del Kandhamal e di altri distretti dell’Orissa, con una pace garantita dalla consistente presenza delle forze dell’ordine, «molte altre sfide da affrontare». Ma la paura resta. Avvocati cristiani e attivisti sociali confermano che i testimoni sono sempre meno disponibili ad apparire pubblicamente, a causa delle minacce di morte.