A Mumbai si misura la capacità di reazione dell’India e della sua democrazia, in Orissa è in discussione la sua stessa esistenza come nazione. Meno isolato di un tempo, certamente più presente nella coscienza del Paese, lo Stato orientale dell’Orissa da un anno, ma ancor più dallo scorso agosto, è preda di quello che gli stessi leader cristiani definiscono “pulizia etnica” in cui si associano la volontà di sopraffazione sui tribali e quella di espulsione dei cristiani, due mali antichi in questa regione che facilmente possono contagiare aree anche lontane del Paese. Due giorni fa il sollievo ufficiale per la decisone dei leader indù radicali, di sospendere lo sciopero generale del 25 dicembre nel distretto di Kandhamal che porterebbe all’impossibilità per i cristiani di celebrare il Natale e certamente a nuove violenze intercomunitarie; ieri lo scetticismo e un nuovo timore. «Le autorità stanno isolando il Kandhamal», avverte una voce della Chiesa in Orissa. «Difficile meravigliarsi, perché è forte il rischio che i gruppi violenti non rispettino la parola data dal segretario locale del partito filoinduista Bharatiya Janata al primo ministro dell’Orissa, Patnaik, e decidano di rinnovare il loro odio verso cittadini indiani che hanno il torto di essere diversi per nascita e imposizione, oppure che hanno fatto la scelta di liberatoria di convertirsi ad altre fedi», dice John Dayal, leader cattolico e attivista sociale –. Il disegno di questi fascisti religiosi è stato chiaro fin dall’inizio: svuotare il Kandhamal dei cristiani, facendone un’area-laboratorio dell’induizzazione forzata, come il Gujarat con i musulmani. Se questo dovesse cadere nel silenzio, senza reazioni, per la società indiana, sarebbe la fine: nessuna minoranza di questo paese potrebbe più sentirsi a casa propria, nessuna fede avrebbe più diritto di cittadinanza». Scaduto l’ultimatum del 15 dicembre per l’individuazione dei responsabili – indicati tra i cristiani – dell’assassinio del leader indù Laxmananda Saraswati il 23 agosto, i gruppi radicali sembrano decisi a portare avanti la loro particolare battaglia. Appare chiara la scarsa capacità di convinzione del governo locale verso i fondamentalisti - che con il suo atteggiamento ha fino a poco tempo fa illuso di potere agire impunemente – sembra perdere capacità di controllo anche la leadership politica che si ispira, con moderazione sovente di facciata al radicalismo induista. Il messaggi di speranza dell’arcivescovo di Cuttak-Bhuabaneshwa, monsignor Cheenath, che aveva salutato la sospensione dello sciopero come una concreta possibilità per i cristiani di celebrare il Natale nei villaggi da cui in tanti si sono allontanati per sfuggire a violenze e le intimidazioni, oggi sembra già lontano. Solo i prossimi giorni diranno se le strade del Kandhamal saranno quelle del ritorno o di una definitiva partenza per i suoi cristiani doppiamente perseguitati.