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L'inchiesta. Maxi-traffico di organi in Pakistan, ma il governo gira la testa

Stefano Vecchia, Bangkok giovedì 29 giugno 2017

Una scena del film “Hot Human Traffic” di Roberto Orazi del 2010

Povertà e richieste pressanti di una clientela facoltosa locale e straniera incentivano espianto e vendita di reni in Pakistan. Una “piaga” che per molti è necessità di guadagno e per altri possibilità di recuperare la salute perduta in un Paese che ha un numero irrisorio di donatori. Una situazione che consente di prosperare a profittatori e mediatori e che evidenzia incuria e connivenze. Per la legge pachistana, la donazione di organi è legale «se volontaria», se non sotto coercizione o in cambio di denaro e ha avuto in tempi recenti l’approvazione delle autorità religiose musulmane.
Nei fatti si confrontano ora due tendenze: la tradizionale ritrosia verso una pratica ritenuta impura che porta a una assai ridotta disponibilità di organi; la pressione crescente alla donazione per le necessità dei pachistani benestanti che necessitano di trapianto, come pure di una clientela anch’essa in maggioranza proveniente da altri Paesi islamici.
Dei 25mila pachistani che ogni anno perdono la funzionalità renale, solo il 10 per cento finisce in dialisi e il 2,3 per cento riceve un trapianto. Molti avrebbero congiunti pronti alla donazione che però vengono intercettati da mediatori e indirizzati a cliniche dove i loro organi vengono espiantati in cambio di denaro. Una prassi che vale soprattutto per i troppi in condizioni di sostanziale schiavitù per debito. Il premio attorno ai mille dollari è allettante per chi non ha altra via d’uscita da una condizione aberrante, ma le conseguenze sono spesso ignorate.
A confermarlo la testimonianza di Bushra Bibi che ha venduto un rene per sostenere le spese mediche del padre. La sua vita però ne è stata devastata: «Ho molti problemi. Faccio fatica a lavare i piatti e anche spazzare per terra è difficile. La gente si lamenta quando non faccio bene il mio lavoro ma non rivelo mai il mio segreto. Ho avuto cinque figli e potete immaginare come ho passato la gravidanza». Il suo caso e altri sono emersi da fine aprile, quando la polizia ha fatto irruzione in una clinica clandestina di Lahore arrestando due chirurghi, gli assistenti, due cittadini dell’Oman in procinto di ricevere gli organi e l’intermediario che ha organizzato la transazione.
Una iniziativa che per il vice direttore dell’Agenzia investigativa federale, Jamil Ahmad Khan Mayo, ha voluto essere un «messaggio forte verso l’estero che il Pakistan non è più un porto franco del trapianto di reni». Finora, infatti, il traffico avveniva sostanzialmente alla luce del sole.
Un reporter dell’agenzia France Presse, entrato in un rinomato ospedale della capitale Islamabad per chiedere quali possibilità ci fossero di potere avere un rene da trapiantare è stato messo in pochi minuti in contatto con un intermediario che ha promesso, in cambio di 23mila dollari, un donatore e un permesso governativo per l’intervento.