Usa. Aborto, al via i ricorsi ai tribunali locali. Stop in Louisiana, Utah e Texas
«Mio il corpo, mia la scelta»: cartello a corteo anti-sentenza
Dopo Louisiana e Utah, anche in Texas un tribunale ha bloccato temporaneamente il divieto di aborto dopo la denuncia presentata dal Center for Reproductive Rigths, l'associazione che ha difeso l'unica clinica abortista in Mississippi nel caso "Dobbs v. Jackson Women's Health Organization", su cui ha sentenziato venerdì la Corte Suprema. Gli aborti riprenderanno con le limitazioni imposte nello Stato prima delle sentenza e quindi fino alla sesta settimana. Una nuova udienza è stata fissata per il 12 luglio.
Cresce negli Stati Uniti l’onda d’urto sollevata dalla sentenza con cui, venerdì, la Corte Suprema ha dichiarato che l’aborto non rientra tra i diritti costituzionali degli americani. I cori dei pro-choice continuano da giorni a gridare “no” al verdetto. Non senza tensioni. Gli agenti di pubblica sicurezza sono dovuti intervenire per disperdere i manifestanti a Phoenix, Washington, New York e Los Angeles. La polizia di Longmont, in Colorado, e di Lynchburg, in Virginia, è stata chiamata a indagare sull’assalto a due centri di sostegno alla maternità. Ribolle anche la politica. I repubblicani studiano soluzioni per rendere più digeribili al pubblico le strette pro-life vagliando – come la Pennsylvania – aiuti di tipo economico per le donne in difficoltà.
I democratici premono invece sulla Casa Bianca per mettere al sicuro l’accesso all’aborto negli Stati in cui è consentito. Il pronunciamento che ha seppellito la storica sentenza «Roe vs. Wade» del 1973 – quella che per quasi mezzo secolo ha dato legittimità federale all’aborto – è destinato ad agitare a lungo la società e la politica statunitense. Almeno fino a quando ogni Stato non avrà preso una chiara posizione in merito, con tanto di leggi e provvedimenti attuativi, e lo scenario legislativo non si sarà assestato.
L’uscita con cui ieri un tribunale della Louisiana ha sfidato la Corte di Washington bloccando il divieto di aborto entrato in vigore nello Stato appena dopo la pubblicazione del verdetto (come anche in Kentucky e South Dakota) riassume la portata del caos. I giudici di Baton Rouge hanno autorizzato le cliniche a riprendere seduta stante i trattamenti di interruzione della gravidanza. Almeno fino a quando, l’8 luglio, si terrà una nuova udienza. Al momento sono 9 gli Stati in cui l’interruzione della gravidanza è bandita (o fortemente limitata), in altri 12 vigono restrizioni. Il numero nelle prossime settimane potrebbe salire fino a 26.
Lo scenario è incerto in una decina di Stati dove la partita sull’aborto è legata all’esito delle elezioni locali. Tra le realtà in cui l’accesso ai servizi di interruzione della gravidanza non sono in discussione, perché tutelati da consolidate leggi locali, vanno segnalati le fughe in avanti di alcuni governatori determinati a sfruttare la devolution della Corte – se così la si può chiamare – per allargare ulteriormente le maglie dell’aborto.
La California, per esempio, pare intenzionata a inserirlo nella propria costituzione con un emendamento da mettere al voto a novembre. Il titolare del governo locale, Gavin Newsom, ha annunciato anche un accordo con i vicini Oregon e Washington per creare un blocco a difesa delle cliniche abortive che, secondo gli addetti ai lavori, si sono da mesi organizzate per recepire il flusso di donne che migreranno da uno Stato restrittivo a uno permissivo. I democratici temono che la campagna pro-life dei repubblicani possa arrivare al Congresso sfociando in iniziative di portata nazionale. Rischio amplificato dall’esito incerto delle elezioni di midterm da cui, in autunno, potrebbe arrivare uno schiaffo per i democratici.
Per questo chiedono al presidente Biden di agire. Ardita è la proposta di proclamare lo stato di emergenza nazionale sull’aborto. Più concreta quella dei deputati che chiedono nell’immediato azioni su tre fronti: fondi a favore delle associazioni che promuovono il controllo delle nascite, garanzie a tutela delle “rotte dell’aborto”, intangibilità dei protocolli relativi all’interruzione chimica della gravidanza. Il ricorso alla pillola Ru486 – mifepristone più misoprostolo – è sempre più diffuso (oltre il 50% degli aborti nel 2020). Soprattutto da quando, l’anno scorso, la Food and Drug Administration (Fda) ne ha approvato l’auto-somministrazione: i farmaci vengono prescritti online dopo consultazione in telemedicina, e consegnati per posta. Pratica facile e veloce che ha visto un boom nelle ore che, venerdì, hanno preceduto la sentenza della Corte.
Al momento è vietata in 19 Stati. Ciò non esclude che possa essere aggirata e, soprattutto, che le donne possano anche solo varcare il confine per ricevere il farmaco a domicilio. Alcune organizzazioni pro-aborto, come «Just the Pill», stanno già organizzando “cliniche mobili” per operare ai confini distribuendo pillole ed effettuando interventi chirurgici. Fa da sfondo allo scenario la polemica sui sei dei nove giudici della Corte Suprema – tre dei quali nominati da Trump tra il 2018 e il 2021 – che hanno firmato la sentenza “rivoluzionaria”. La deputata progressista di New York, Alexandria Ocasio Cortez, ne ha ventilato l’impeachment.