Tappezzata di bandiere e gagliardetti con i colori palestinesi e di gigantografie di Arafat e di Abu Mazen, ieri sera Ramallah è esplosa quando in serata è arrivato l’annuncio. O come ha detto il leader Abu Mazen il «certificato di nascita» dello Stato palestinese. La folla fin dalla mattinata si era radunata nella città-sede dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), in attesa del sì dell’Assemblea generale. Un passo più che altro simbolico e che non porta alla piena appartenenza della Palestina alle Nazioni Unite (per la quale serve il consenso del Consiglio di sicurezza). Un passaggio, inoltre, dalle conseguenze incerte, che potrebbe smuovere il processo di pace come potrebbe congelarlo ulteriormente. Ma un momento comunque storico, soprattutto per l’ampia maggioranza con cui è stata raggiunta la maggioranza: 138 favorevoli, 41 astenuti, 9 contrari. È stata una riunione intensa a Palazzo di Vetro. Prima il Sudan ha presentato la risoluzione di ammissione, poi ha passato la parola al leader dell’Anp Abu Mazen (Mahmoud Abbas) – salutato da cinque minuti di standing ovation –, che ha fatto ieri un ultimo appello. Abu Mazen ha chiesto «un certificato di nascita» dello Stato palestinese, ha assicurato che l’Anp resta «impegnata per la soluzione dei due Stati» e come il voto sia «l’ultima occasione per salvare tale opzione». Il sì è «un investimento per la pace», ha detto Abu Mazen e ha ripetuto: «La Palestina crede in quest’ultima». Quindi, dopo il lungo discorso, si è passati alla consultazione.Diverse le astensioni, le più significative quelle di Germania e Gran Bretagna, pochi i no secchi, guidati dagli Stati Uniti e da Israele, e seguiti dal Canada e dalla Repubblica Ceca. La Ue si è infatti presentata divisa all’appuntamento, con il voto favorevole di 15 Paesi tra cui Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Spagna, Grecia e Irlanda a cui si è aggiunta ieri l’Italia. Unito invece nel dare luce verde il fronte dei Brics, i principali Paesi in via di sviluppo, che, oltre a grandi potenze come Cina e Russia, comprende India, Brasile e Sudafrica.Al giubilo palestinese, ha fatto da contraltare la freddezza di Israele. «Perché ci sia una pace duratura è necessaria la sicurezza», ha detto il rappresentante Ron Prosor e ha sottolineato: «L’Anp deve essere pronta a riconoscerci come Stato ebraico». Non solo. Secondo Prosor, la risoluzione «unilaterale» rappresenta un «passo indietro» e «allontana la pace». Più duro il premier Netanyahu che ieri, commentando il discorso all’Onu di Abu Mazen, l’ha definito «ostile e velenoso». Gerusalemme, però, dal canto suo ha rinunciato – almeno per il momento – a una rappresaglia nei confronti dell’Anp. In attesa di vedere – hanno detto dal ministero degli Esteri – «come useranno il voto».Sulla stessa linea di scetticismo, Washington. «Nessuno dovrebbe illudersi che questa risoluzione produrrà i risultati desiderati dai palestinesi – ha detto la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland – vale a dire avere un proprio Stato e vivere in pace con Israele». Mentre l’ambasciatore Susan Rice ha precisato gelida che: «Questo voto non sancisce la nascita dello Stato palestinese». E ha invitato le parti a riprendere quanto prima i negoziati.Immediatamente dopo il voto, una nota è stata diffusa dalla Santa Sede: «La votazione manifesta il sentire della maggioranza della comunità internazionale e riconosce una presenza più significativa ai Palestinesi in seno alle Nazioni Unite». Anche se, si legge nella nota, la strada per la pace è ancora lunga. Quella di ieri è stata senza dubbio una vittoria diplomatica di Abu Mazen, che ha risollevato il suo peso politico dopo che la rivoluzione egiziana e la crisi di Gaza avevano sminuito il potere dell’Anp a beneficio dei rivali islamici di Hamas. Non a caso a Gaza la leadership di Hamas ieri si è tenuta in disparte nelle celebrazioni, concedendo però per la prima volta da anni ai militanti di al-Fatah – il partito di Abu Mazen – di attraversare in corteo il centro della città con le loro insegne alzate. E a Ramallah, sul palco predisposto per la celebrazione, si sono raccolti rappresentanti di tutte le fazioni palestinesi, compresi quelli di Hamas e Jihad islamica.Il voto è anche uno schiaffo alle pressioni diplomatiche americane nei confronti di molti alleati a non sostenere la risoluzione palestinese, nel timore che porti a una denuncia palestinese di Israele presso la Corte penale internazionale. Ma molti analisti ieri concordavano che la posizione americana avrebbe ridotto ulteriormente la statura Usa come mediatore capace di spingere le parti verso un accordo di pace. Sforzi che sono «più urgenti che mai», come ha ribadito il Segretario generale Ban Ki-moon.