I misteri del Cremlino. Da Politkovskaja a Navalny: una lunga tradizione color sangue
Anna Politkovskaja è stata assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006
Mancava solo lui. E puntualmente, anche Alekseij Navalny si è aggiunto all’ultimo minuto alla lunga scia di cadaveri eccellenti che scandisce, quasi fossero sanguinanti pietre d'inciampo, l’ultraventennale parabola d,i Vladimir Putin. L’elenco è fitto di misteri, oltre che di vittime.
Dal te al polonio dell’ex colonnello del Kgb Aleksandr Litvinenko riparato a Londra e avvelenato in modo letale nel 2006, alla giornalista di “Novaja Gazeta” Anna Politkovskaja, assassinata nel medesimo anno da un sicario nell’ascensore del suo palazzo; dalla reporter Anastasia Baburova, assassinata nel gennaio 2009 insieme all'avvocato difensore dei diritti umani Stanislav Markelov mentre si trovavano per le strade di Mosca, all’oligarca Boris Berezovskij, trovato impiccato nel 2013 nella sua abitazione di Sunninghill a una quarantina di chilometri da Londra; dall’ex vicepremier di Eltsin, Boris Nemsov (assassinato nel febbraio del 2015 a Mosca mentre attraversava un ponte vicino alla Piazza Rossa), per finire con il “cuoco di Putin” Evgenij Prigozhin, prima braccio armato del presidente con la milizia paramilitare Wagner, poi scomodo detrattore della campagna di guerra in Ucraina, precipitato con il suo velivolo il 23 agosto dello scorso anno mentre sorvolava l’oblast di Tver.
Ma non si contano piccoli e grandi funzionari, oscuri apparatèiki che in questi ultimi due anni di guerra hanno misteriosamente imboccato la tromba delle scale o il vano vuoto di un ascensore per raggiungere più celermente il piano terra. Cadaveri eccellenti, si è detto. Ma tutti figli di un metodo che Putin ha ereditato dal trentennio staliniano, dove le purghe inflitte alla vecchia guardia bolscevica, poi a poeti e letterati non allineati con il realismo socialista, quindi alle decine di migliaia di incolpevoli membri di una fazione perdente del partito, per finire con i medici ebrei sospettati di tramare ai danni della sua salute, erano prassi quotidiana.
Negli anni Trenta nell’Unione Sovietica si scompariva dall’oggi al domani: nei gulag siberiani, come il poeta Osip Mandel’štam, o davanti a un plotone d’esecuzione sul lastricato della Butyrka, il carcere degli zar, come Isaak Babel; oppure nel cortile della Lubjanka, la sede della Nkvd e successivamente del Kgb, dove si fucilavano sbrigativamente dopo un breve processo-farsa gli avversari del regime, come il grande regista Mejerchol’d o l’eroe dell’Armata Rossa Tuchaèevskij, caduti in disgrazia agli occhi di Stalin. E c’era chi faceva da sé, abbreviando il compito dei propri aguzzini: come la poetessa Marina Cvetaeva o come Vladimir Majakovskij, due suicidi eccellenti.
Con l’era Krusciov e la destalinizzazione sembrava fosse finita. Nessun dissidente veniva più ucciso per strada, né mandato nel gulag. Ma si trattava di un breve cambio di passo. Dopo il lungo letargo brezneviano e la parentesi di Gorbaciov, la Russia di Putin è tornata ai fasti di un tempo. Questione di temperamento, di scuola. Ex ufficiale del Kgb con incarico nella Ddr a Dresda, Putin ha vissuto il crollo dell’Unione Sovietica come una tragedia di portata storica. Da allora persegue un revanscismo nazionalista con forti nostalgie staliniane.
Non a caso è in corso da alcuni anni una lenta ma insistita riabilitazione del dittatore georgiano. Al quale si usa attribuire una frase che forse non ha mai davvero pronunciato ma che corrisponde perfettamente al suo modo di agire: «La morte risolve tutti i problemi: niente uomini, niente problemi».
Un motto che come si vede Vladimir Putin ha fatto suo, con puntiglioso zelo.