Gasdotti sabotati. Quarta falla nel Nord Stream, accuse reciproche ma nessuna prova
L'impianto di Nord Stream 1 a Lubmin in Germania
Pochi dati di fatto. Nessuna (o troppe e tutte discordanti) verità. E una certezza: il sabotaggio, che ha messo fuori gioco i gasdotti Nord Stream 1 e 2, sta precipitando il conflitto tra Russia e Occidente in una nuova fase, se possibile ancora più incandescente e inquietante. I punti fermi si contano sulle dita di una mano. Il primo, purtroppo indubitabile: Nord Stream 1 e 2 continuano a “vomitare” gas e metano nelle acque del Mar Baltico, con effetti sull’ambiente potenzialmente catastrofici.
Ieri la Guardia costiera svedese ha individuato una quarta falla nella mastodontica struttura nata per trasportare il gas russo in Germania. Secondo: «Non c’è dubbio che si sia trattato di esplosioni», almeno tre, ha ribadito ieri Bjorn Lund del Centro nazionale di sismologia svedese. I danni riportati dalla struttura sono ingenti e c’è chi sostiene possano essere anche irrimediabili. Altra certezza: il «sabotaggio» ha definitivamente alzato il velo sulla vulnerabilità energetica dell’Europa e sulla fragilità delle infrastrutture che la “alimentano”.
Fin qui i dati di fatto. Il passaggio successo – la risposta alle domande: chi c’è dietro l’attacco? Chi lo ha ordinato? Chi lo ha condotto? Puntando su quali obiettivi? – resta avvolto nel mistero e ricoperto da una coltre di accuse reciproche e insinuazioni. La Nato parla di «atti di sabotaggio deliberati, sconsiderati e irresponsabili». «Noi, come alleati, ci siamo impegnati a prepararci, scoraggiare e difenderci dall’uso coercitivo dell’energia e da altre tattiche ibride da parte di attori statali e non statali. Qualsiasi attacco deliberato contro l’infrastruttura critica degli alleati sarà accolto con una risposta unita e determinata», si legge in una dichiarazione del Consiglio dell’Alleanza Atlantica. A sua volta, Fatih Birol, capo dell’Agenzia internazionale per l’energia, ha detto che è «molto ovvio» chi ci sia dietro il sabotaggio degli oleodotti, ma non ha fatto nessun nome.
Diversa è la “verità” di Mosca. La Russia ha rubricato quanto accaduto come «un atto di terrorismo internazionale» che vede coinvolto necessariamente uno Stato: «È davvero molto difficile immaginare che un simile atto terroristico possa avvenire senza il coinvolgimento di uno Stato», ha detto ieri il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. «Si tratta di una situazione estremamente pericolosa che richiede un’indagine urgente e la collaborazione tra vari Paesi», ha quindi aggiunto. Per Mosca ci sono pochi dubbi su chi si celi dietro l’operazione.
La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova ha sostenuto che gli incidenti al largo delle coste della Danimarca e della Svezia si sono verificati in un territorio che è «pienamente sotto il controllo» delle agenzie di intelligence statunitensi. E mentre la Norvegia ha fatto sapere che dispiegherà le sue forze armate per proteggere le installazioni di petrolio e gas, il “dossier energia” dominerà il vertice dell’Ue in programma il 7 ottobre a Praga. «L’attacco ai gasdotti significa che l’infrastruttura strategica nell’intera Ue deve essere protetta», ha affermato un funzionario dell’Ue a Bruxelles, citato dalla Bbc. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato che la Germania è pronta a fare a meno del gas russo.
Una inaspettata offerta di mediazione è arrivata dall’ex presidente statunitense Donald Trump. Sul suo social Truth, Trump ha invitato a non far salire la tensione e ha sollecitato un «accordo negoziato» sul conflitto ucraino, convinto che «entrambe le parti ne hanno bisogno e lo vogliono». «Il mondo intero è in gioco», ha detto l’ex presidente Usa, autocandidandosi come negoziatore.