La donazione di seme in un caso d’infertilità in Olanda sta suscitando un dibattito etico a livello internazionale. Al centro della polemica è infatti una coppia sposata di trentenni che ha deciso si ricorrere alla procreazione assistita “intrafamiliare”. Poiché il marito non poteva produrre sperma, ha deciso di fare appello per una donazione al familiare maschio più prossimo. E in mancanza di un fratello si è rivolto al padre. La scelta è stata spinta dalla volontà della coppia di «mantenere al di fuori della famiglia patrimonio genetico estraneo», ma le sue ripercussioni sono a dir poco discutibili. Il bimbo che nascerà, dopo che verrà portata a termine la fecondazione in vitro della donna con lo sperma del suocero, sarà infatti fratello del padre legale e, nel contempo, figlio e nipote del nonno. Il centro medico universitario di Utrech ha accettato di far procedere la sconvolgente fecondazione in provetta, e il caso riportato nella rivista scientifica americana Human reproduction sta ovviamente creando scalpore. In mancanza di leggi al riguardo, la cosiddetta procreazione assistita “intrafamiliare” non è vietata e, secondo l’Associazione americana per la medicina riproduttiva (Asrm), è «in generale accettabile dal punto di vista etico», a meno che non si tratti di casi in cui si rischi l’incesto attraverso la donazione di sperma o ovuli tra fratello e sorella, o tra cognati. Al di là del consenso delle parti coinvolte, gli esperti suggeriscono quantomeno un’approfondita analisi psicologica per chi si accinge a intraprendere tale percorso. Secondo George Annas, capo del Dipartimento di legislazione sanitaria, bioetica e diritti umani della Scuola di salute pubblica all’Università di Boston, è però «troppo bizzarro, per il bene di questo bambino »: a suo parere i ricercatori olandesi hanno agito in maniera «irresponsabile».