Non è stato un K.O. Ma il terzo e ultimo dibattito fra Barack Obama e Mitt Romney ha messo in luce un paradosso: per paura di mostrarsi troppo aggressivo e spaventare gli elettori indecisi, lo sfidante repubblicano si è trovato a dare ragione una dozzina di volte al presidente.I famosi elettori indecisi, che entrambi gli schieramenti disperatamente corteggiano, non si saranno dunque allarmati, ma si staranno anche chiedendo che cosa differenzierebbe in politica estera un presidente Romney da un presidente Obama. L’ex governatore ha assicurato di non voler mandare militari in Siria, dove finora aveva accusato il capo della Casa Bianca di essere stato troppo debole. Ha detto che non vorrebbe mantenere truppe in Afghanistan dopo il 2014 – dopo aver tacciato il ritiro dell’Amministrazione democratica come affrettato. E ha abbassato i toni bellicosi riservati finora per l’Iran, promettendo che non avrebbe nessuna fretta di colpire la Repubblica islamica per fermarne il programma nucleare. Neanche sul Pakistan, l’alleato meno affidabile degli Usa, l’aspirante presidente cambierebbe la rotta, dimostrando di capire la necessità di scendere a compromessi in nome degli interessi nazionali più pressanti, come la lotta al terrorismo. «Non possiamo uccidere a destra e a manca per uscire da questa confusione », ha detto sul Medio Oriente, riferendosi all’instabilità scatenata dalla Primavera araba. Romney è d’accordo anche sull’uso di droni (aerei telecomandati a distanza per colpire bersagli precisi in suolo straniero) da parte dell’Amministrazione democratica. Nessun accenno, da parte di entrambi, invece, alla crisi economica europea.In definitiva l’ex governatore è emerso competente e ragionevole, centrista e preparato. Ma proprio lo sforzo di suonare «presidenziale » ha tolto a Romney la verve e la sicurezza dimostrata negli altri due confronti, e ha lasciato spazio agli attacchi di un aggressivo, sarcastico (e per questo non sempre a sua volta presidenziale) Obama. «Governatore, abbiamo anche meno cavalli e baionette, ma abbiamo queste cose chiamate portaerei o queste altre che vanno sott’acqua, i sottomarini nucleari», ha affondato con aria superiore l’inquilino di 1600 Pennsylvania Avenue in risposta alla critica di aver ridotto il numero di navi della marina militare americana. Una battuta che rientra nella strategia di Obama di dipingere il rivale come un prodotto del passato: «Quando si parla di politica estera, sembra che lei voglia riportarci agli anni Ottanta, in politiche sociali agli anni Cinquanta e in economia agli anni Venti». Obama non ha nemmeno accettato i complimenti dell’avversario quando si è congratulato per l’uccisione di Ossama Benladen – o «Obama» Benladen, come ha detto il moderatore, Bob Schieffer.Invece non ha perso occasione di ricordare agli elettori le posizioni più da “falco” che il miliardario mormone ha sostenuto nel recente passato, per farlo apparire ipocrita. Dove i due hanno fatto scintille e Romney ha ritrovato il tono sicuro delle ultime settimane è stata la politica interna, che nonostante non fosse in programma hanno discusso almeno quanto il tema della serata, attirandosi i richiami del moderatore. «Amiamo tutti gli insegnanti, ma andiamo avanti», li ha interrotti il veterano della rete Cbs quando si dilungavano sull’istruzione. La vittoria del terzo e ultimo match va dunque al titolare della Casa Bianca, che si aggiudica così due dibattiti su tre – anche se il primo gli ha riservato una sconfitta tanto sonora da riverberare ancora, venti giorni più tardi. Il vantaggio di cui Obama godeva su Romney in molti Stati chiave è evaporato. L’ampio margine con cui era certo di conquistare il voto delle donne si è ridotto a meno del 5 per cento. Ieri una rilevazione Ipsos mostrava una leggera ripresa per il democratico (47% a 46%). Ma a meno di due settimane dalle elezioni del 6 novembre Romney è ancora solidamente in sella, e il primo ad esserne sorpreso sembra proprio il candidato dell’asinello, che sperava di aver a questo punto già chiuso i giochi per la sua rielezione.Invece ieri, mentre si diffondeva la notizie di un orribile attacco a sfondo razziale ai danni di una ragazza nera il Louisiana, Obama è partito per un tour vertiginoso di sei Stati in 48 ore, mentre il suo staff inondava gli Stati in bilico di spot e di tre milioni e mezzo di copie di un libretto che sintetizza il programma del presidente. Dopo i toni negativi e l’aria condiscendente dei messaggi pubblicitari d’inizio campagna, però, il tono degli appelli – ora che tutto è stato detto e le carte sono scoperte – è più semplice e diretto: «Leggete il mio piano, confrontatelo con quello del governatore Romney e decidete chi è il migliore», è quello che gli abitanti di Florida Iowa e Ohio si sentono ripetere. Oppure: «È un onore essere il vostro presidente, vi chiedo di votare per me per continuare a portare avanti l’America ». Il 6 novembre sapremo se avranno funzionato.