La parola chiave è compromesso. Barack Obama mette le cose in chiaro, nel suo primo intervento ufficiale alla Casa Bianca dalla rielezione di martedì scorso, un discorso che sembra già indirizzare la sua politica economica per il prossimo quadriennio. Sa, Obama, che se gli americani gli hanno dato altri quattro anni di tempo è soprattutto per continuare il lavoro iniziato per uscire dalla crisi economica. Ma sa, anche, che senza un accordo con i repubblicani, che si tengono stretti la loro maggioranza alla Camera, la sua avventura inizia male e il burrone fiscale sul quale l’America è in bilico rischia di inghiottire anche lui.«Sono aperto al compromesso e a nuove idee ma a nulla che non sia un approccio bilanciato al risanamento dei conti – spiega il presidente –. Non chiederò a studenti ed insegnanti di pagare l’intero deficit». Poi l’invito per la settimana prossima ai leader dei due partiti, a partire dallo speaker repubblicano della Camera John Boehner. Serve «un consenso sulle sfide che solo insieme possiamo risolvere», è il monito di Obama. «La nostra priorità deve essere la crescita e l’occupazione», aggiunge il presidente, che non fa passi indietro, però, su uno dei cardini della sua campagna elettorale: «Se siamo seri sulla riduzione del deficit dobbiamo combinare i tagli alla spesa con le entrate e questo significa chiedere agli americani più ricchi», coloro che «come me» guadagnano più di 250mila dollari l’anno «di pagare un po’ più di tasse». Una questione , ha ricordato Obama, «centrale durante le elezioni, e abbiamo appurato che la maggioranza degli americani approvano il mio approccio».Obiettivo della Casa Bianca è approvare una norma che congeli le aliquote fiscali per la classe media e lavorare insieme ai repubblicani per allontanare la prospettiva del fiscal cliff, il «burrone fiscale». Il tono è conciliatorio, come quello a sorpresa usato di recente dal repubblicano Boehner. Il nodo da sciogliere è proprio quello di un aumento delle tasse sui ricchi, al quale i repubblicani di oppongono. Secondo alcuni sondaggi, quasi la metà degli americani è favorevole a un aumento delle tasse per i ceti più abbienti. L’America rischia a fine anno il baratro finanziario qualora scattassero automaticamente i tagli alla spesa e l’interruzione di una serie di incentivi fiscali previsti dal governo Bush nel 2003 e confermati da Obama sette anni più tardi: si tratta di un pacchetto da oltre 600 miliardi di dollari tra aumenti delle imposte e tagli alla spesa. Senza un accordo in tempi brevi, gli Stati Uniti rischiano seriamente di perdere la tripla A. Sia i democratici che i repubblicani riconoscono il problema (l’enorme deficit di bilancio, ormai a 1,09 miliardi di dollari) ma sono in disaccordo su come ridurlo. La proposta democratica, bocciata dal Congresso, comprende tagli alle spese che sarebbero compensati dall’aumento delle tasse sui redditi più alti; per contro i piani del Grand old party, che scartano qualsiasi tipo di aumento di imposta e rifiutano i tagli alla difesa, puntano sullo smantellamento del welfare.Obama deve decidere se imbarcarsi in un braccio di ferro prolungato oppure cercare un accordo e rischiare di alienarsi le simpatie dei democratici che gli hanno assicurato la vittoria. I repubblicani continuano a rifiutare un aumento delle aliquote ai redditi più alti, volendo anzi estendere gli sgravi fiscali ai più ricchi. Una misura contro la quale, fa sapere la Casa Bianca, il presidente opporrà il proprio veto. Il consigliere di Obama David Plouffe ha fatto notare come i risultati del voto mostrino che la gente «ha chiaramente scelto la visione del presidente: fare in modo che gli americani più ricchi siano chiamati a fare di più». «Farlo al più presto, nella maniera più incisiva e più profondamente è la cosa che ha più senso», gli ha fatto eco il senatore democratico di New York, Chuck Shumer.I democratici ritengono che la rielezione del presidente e l’aumentata maggioranza al Senato sia un mandato sufficiente per fare pressione sui repubblicani e convincerli a cedere. La posta in gioco è notevole: l’ultimo rapporto del Congressional Budget Office, un organismo bipartisan, ha confermato che l’economia cadrà in recessione se l’impasse a Washington si protrarrà. Un tale scenario porterebbe nel giro di un anno la disoccupazione al 9,1 per cento. Inoltre, l’aliquota federale media su ogni famiglia salirà fino a cinque punti percentuali al 24,3 per cento. Un peso che rischia di diventare insostenibile in un momento in cui la crescita fatica a raggiungere soglie accettabili.