Barack Obama era ancora in volo sull’Air force one, l’aereo presidenziale diretto ieri in Michigan, quando la notizia di imminenti dimissioni di Hosni Mubarak si sono fatte sempre più esistenti. Un giorno di attesa, con gli occhi sulle dirette tv e in continuo collegamento con i suoi consiglieri diplomatici. «Aspettare e vedere», la parola d’ordine alla Casa Bianca come al Dipartimento di Stato che rimandavano per ore qualsiasi dichiarazione. Mubarak in fuga, Mubarak con il capo di Stato maggiore a Sharm el-Sheik, Mubarak ancora al Cairo con il premier Shafiq, Mubarak... Un’intera mattina passata, aldilà dell’Oceano, in attesa delle dichiarazioni ufficiali dell’antico alleato lasciato ormai solo contro piazza Tahrir. Ore decisive per trattare gli ultimi dettagli con l’esercito, diventato pere Washington ormai l’unico interlocutore. E qualche segnale decisivo deve essere arrivato, se parlando alla Northern Michigan University di Marquette, il presidente americano ha deciso di rompere per primo gli indugi: «Il popolo chiede un cambiamento, e una nuova generazione, chiede che sia udita la sua voce. In Egitto si sta facendo la storia». Il presidente statunitense ha sottolineato che «sono stati i giovani ad essere il cuore delle manifestazioni, una generazione che vuole che la propria voce sia ascoltata». Molto più che un auspicio, un aperto sostegno politico al nuovo corso del Cairo prima ancora di apprendere del passo indietro, ma senza dimissioni, dell’anziano rais. Se per Washington si sta andando avanti nella giusta direzione, non cambiano le priorità: gli Stati Uniti faranno «tutto ciò che possono» per garantire «una transizione ordinata » verso la «democrazia» e che punti a «libere elezioni». Facendo attenzione a non dare l’impressione di ingerenze americane, Obama ha volutamente sottolineato che gli Stati Uniti sono solo «testimoni » di quanto sta avvenendo in Egitto. Ma, nello stesso tempo, sono testimoni partecipi, perché i manifestanti di piazza Tahir altro non chiedono se non libertà e democrazia, i valori fondanti di ogni azione politica degli Stati Uniti d’America. L’Unione Europea è pronta ad aiutare la democrazia egiziana. Lo ha dichiarato il capo della diplomazia dell’Ue, Catherine Ashton. «Non importa cosa succederà nelle prossime ore o giorni, l’Unione europea resta pronta ad aiutare a costruire una profonda democrazia che sosterrà la stabilità per il popolo egiziano», ha dichiarato l’Alto commissario in una nota appena prima dell’atteso discorso del rais. Grande preoccupazione in Israele: il premier Benyamin Netanyahu, in un cauto commento prima dell’intervento televisivo di Mubarak, ha dichiarato che Israele «desidera in Egitto stabilità e continuità e che sia preservata la pace con Israele, quale che sia il governo al potere». «Noi comunque – ha concluso – ci aspettiamo che il governo in Egitto sappia tutelare la pace» con Israele.