«Avete vinto la vostra rivoluzione», ha detto il presidente americano
Barack Obama ai libici nel discorso con cui ha di fatto depennato anche il nome di Muammar Gheddafi dalla lista dei nemici degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, meno di 24 ore dopo, ha annunciato che porterà «a casa per le feste di fine anno» tutti i soldati Usa in Iraq. Non è detto però che alle elezioni per la Casa Bianca, a novembre del 2012, gli elettori ne terranno conto. Obama ha voluto attribuire il merito per la fine del rais di Tripoli alla "Rivoluzione del 17 febbraio", ma di certo anche a se stesso, rivendicando che «senza dispiegare un solo soldato sul terreno, abbiamo raggiunto i nostri obiettivi». E la stampa americana è pronta a dargliene atto, anche se avanza dubbi sulla possibilità che il presidente possa per questo passare all'incasso nell'Election Day. Molti commentatori fanno il paragone tra la guerra in Iraq e quella in Libia, notando che Saddam Hussein è stato neutralizzato e catturato in sette mesi, in una tana sottoterra definita il "buco del ragno". Nello stesso arco di tempo è finita l'era di Gheddafi, preso in una grande conduttura definita «la fogna del ratto». Ma le similitudini finiscono qui. L'invasione dell'Iraq voluta da George W. Bush, come ricorda il
Washington Post, è costata agli Usa un trilione di dollari, ovvero mille miliardi, oltre alla vita di 4.480 americani. Per l'intervento in Libia, come ha sottolineato invece il vice presidente Joe Biden, «l'America ha speso in tutto due miliardi di dollari, e non ha perso una singola vita».