L'agenda era fitta, le aspettative alte. Ieri a Pechino il presidente Usa Barack Obama si è finalmente immerso nella realtà cinese. Se l’incontro con gli studenti di Shanghai era stato una sorta di “aperitivo”, ieri al Palazzo dell’Assemblea del Popolo dove Obama ha visto il presidente Hu Jintao, il clima era tutt’altro che disteso. Almeno fino al pomeriggio, quando la delegazione Usa ha visitato la Città proibita.Obama è sbarcato in Cina con la valigia vuota. Mai, notava il
New York Times, era capitato che l’America fosse nella posizione di chiedere alla Cina risposte su così tanti temi. Iraq, Afghanistan e la crisi economica hanno messo Washington in una posizione di maggior debolezza. Gli 800 miliardi di dollari di debito pubblico Usa in mano a Pechino non lasciano grandi spazi di manovra a Washington. I volti tesi, gli sguardi "gelidi" di Hu e Obama in conferenza stampa dimostravano che il colloqui fra i due è stato schietto. Agenda ricca, ma accordi pochi. Se si eccettua il lancio di «un centro di ricerca congiunto sui problemi energetici». Ma la parola chiave è «cooperare». «Crediamo che l’attuale situazione internazionale – ha detto Hu – rende i Paesi del mondo sempre più interdipendenti fra loro, per questo Cina e Stati Uniti ritengono necessario aumentare la cooperazione». Collaborazione nel segno del pragmatismo quindi. Il primo terreno è il clima. Obama ha rimarcato che «senza gli sforzi coordinati di Cina e Usa una soluzione al problema del riscaldamento globale non è possibile». Ricordando la conferenza Onu di Copenaghen, Obama ha detto di volere «un’intesa che copra tutti i punti dei negoziati e possa avere effetti operativi e immediati». Davanti ai cronisti i due leader hanno sottolineato che serve la collaborazione dei due Paesi per affrontare le questioni più urgenti, non solo sui temi politici come il clima e la proliferazione nucleare, ma anche sull’economia. Dove Hu ha parlato di «segnali di ripresa». Ma ha evitato di citare lo yuan. In compenso ha indirizzato una frecciata al protezionismo Usa. Con al fianco Hu Jintao, Obama ha parlato anche di diritti umani chiedendo alla Cina di riprendere i contatti con la delegazione del Dalai Lama, peraltro senza citarlo direttamente. Il presidente statunitense si è mosso con cautela, pesando bene le parole e ha sottolineato che il Tibet «è parte della Repubblica Popolare cinese». Allo stesso tempo, ha aggiunto che «gli Stati Uniti sostengono la pronta ripresa del dialogo tra il governo cinese» e i rappresentanti del Dalai Lama. «Non crediamo che il rispetto dei diritti umani sia un’esclusiva del popolo americano – ha argomentato poi il presidente Usa – ma che si tratti di un valore universale. Inoltre gli Stati Uniti non credono nel successo di un Paese a discapito di un altro e danno il benvenuto al ruolo che sta assumendo la Cina». Certo, è la tesi di Obama, se Washington non ostacolerà l’ascesa cinese consentendo a Pechino di diventare sempre più forte, questo porta con sé anche delle responsabilità nei confronti della comunità internazionale. Nel nome della collaborazione l’impegno contro la non-proliferazione nucleare. Iran e Nord Corea i destinatari del messaggio che giunge dalla capitale cinese. «Siamo d’accordo sul fatto che l’Iran deve dimostrare che il suo programma ha fini esclusivamente energetici – ha detto Obama – altrimenti ci saranno conseguenze». Sia Hu sia il leader Usa hanno rilanciato con vigore i colloqui a sei sul nucleare nordcoreano.Altra rassicurazione dal capo della Casa Bianca è arrivata sul fronte di Taiwan dopo che Hu aveva detto che «entrambi i Paesi affermano l’integrità territoriale dell’altro». Per questo Obama ha ribadito la validità della «One China Policy» ma ha riaffermato la tradizionale politica collegata al Taiwan Relations Act.