«A Mogadiscio ho incontrato una donna a cui erano morti i figli proprio mentre tentava di abbandonare le zone della siccità in cerca di cibo. Molti, nel sud della Somalia, sono troppo deboli per affrontare un viaggio. Dobbiamo andare noi da loro». Josette Sheeran è il Direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam). In questi giorni è in Somalia, da dove coordina la missione umanitaria.
Dopo l’intervento di Benedetto XVI spera in una reazione corale della comunità internazionale?Gli appelli di Sua Santità sono un enorme aiuto e un forte monito. Tutti ci dobbiamo impegnare, governi e singoli cittadini. I segni di una solidarietà internazionale in movimento si fanno già sentire e tuttavia rimane ancora molto da fare. La nostra operazione nel Corno d’Africa, per assistere chi ha fame, fino alla fine dell’anno, registra un deficit di 342 milioni di dollari che va colmato al più presto.
Quali sono le cause della carestia nel Basso Shabelle e nel Bakool?Si tratta di un’emergenza che nasce da una forte siccità, dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari e del petrolio. Ma certamente ad aggravare la situazione vi sono anni di conflitto e l’impossibilità, per l’intervento umanitario, di accedere a queste zone.
Come vi state adoperando?Il Pam sta lavorando all’apertura di nuove vie aeree e terrestri per raggiungere l’epicentro della crisi e creare le condizioni operative, incluse quelle per la sicurezza del proprio staff, per portare cibo. In Somalia stiamo assistendo un milione e mezzo di persone ma presto la nostra azione sarà estesa ad altri 2,2 milioni di persone che prima non riuscivamo a raggiungere nel sud. Invieremo, per via aerea, a Mogadiscio razioni alimentari altamente nutrienti per i bambini che sono i più colpiti da questa drammatica crisi.
Lei ha ricordato che si tratta di un intervento umanitario ad altissimo rischio. Dal 2008 hanno perso la vita in Somalia 14 tra operatori e collaboratori del Pam. I miliziani di al-Shabaab avevano inizialmente riaperto i canali di accesso per gli aiuti, ma ieri un portavoce ha ritrattato. Intanto l’Onu dice che andrà avanti. Cosa farete?La Somalia è, effettivamente, uno dei luoghi più pericolosi al mondo. Avevamo valutato positivamente l’annuncio, da parte delle forze che controllano gran parte del Sud, che la comunità umanitaria potesse tornare ad operare nelle aree ad essa prima precluse. Adesso stiamo testando il terreno per vedere come possiamo fornire aiuti il più rapidamente possibile salvaguardando la vita degli operatori.
La crisi alimentare può dilagare anche nei Paesi vicini?Senza un intervento deciso di tutta la comunità internazionale vi è il rischio concreto che, come ha ricordato il coordinatore umanitario per la Somalia delle Nazioni Unite, nell’arco di poco meno di due mesi la situazione diventi drammatica in tutte le otto regioni del sud del Paese. Già ora su 3,7 milioni di somali che hanno bisogno di assistenza alimentare, la maggioranza, vale a dire due milioni e mezzo, vive al Sud. Ma altri milioni di persone colpite dalla siccità vivono in Kenya, Etiopia, Uganda e Gibuti. Complessivamente sono oltre 11 milioni gli esseri umani che hanno urgente bisogno di assistenza.
Quali sono le prospettive dei prezzi dei generi alimentari nelle regioni coinvolte?Le comunità pastorali e agropastorali sono quelle più colpite dalla siccità. In alcune zone del Kenya e dell’Etiopia oltre il 15 per cento del bestiame è andato perso. In Kenya il prezzo del mais è del 138 per cento più alto della media dei prezzi degli ultimi cinque anni. È evidente che noi dobbiamo non solo intervenire nell’immediato ma aiutare queste popolazioni a creare le condizioni per far fronte a futuri possibili choc. Dobbiamo rafforzare le reti di protezione sociale, serve sostenere l’alimentazione scolastica, sviluppare un grande intervento nutrizionale verso i bambini più piccoli.Non c’era stata nessuna avvisaglia di questa carestia?Sono almeno sei mesi che il Pam lancia l’allarme. A maggio ho visitato Kenya e Somalia. I segni della siccità erano già evidenti. Prima ancora a novembre 2010 e nel giugno di quest’anno vi sono stati ripetuti allarmi. Era ormai chiaro da settimane che questa sarebbe stata una delle stagioni più secche degli ultimi sessant’anni.