Nobel per la Pace. La parole di Narges oltre le sbarre: «Il dispotismo verrà sconfitto»
Kiana e Ali Rahmani a Oslo accanto alla sedia lasciata vuota dalla madre Narges Mohammadi
Non c’era Narges Mohammadi, domenica, a Oslo per ritirare il premio Nobel per la Pace 2023. C’erano però le sue parole, evase - almeno loro - “dalla alte e fredde mura” della prigione di Evin dove l’attivista iraniana è seppellita da una valanga di condanne inflittele dal regime di Teheran. Parole forti, vibranti, scarne, libere da ogni forma di retorica che sono state lette, a turno, dai figli di Narges Mohammadi, i gemelli diciassettenni Kiana e Ali che dal 2015 vivono in esilio in Francia assieme al padre, l’attivista Taghi Rahmani. "Il popolo iraniano smantellerà l'ostruzionismo e il dispotismo attraverso la sua perseveranza. Non abbiate dubbi: questo è certo".
Ali Rahmani legge il discorso scritto dalla madre - ANSA
"Sono una donna mediorientale e vengo da una regione che, nonostante la sua ricca civiltà, è ora intrappolata tra la guerra, il fuoco del terrorismo e l'estremismo”. "L'hijab obbligatorio imposto dal governo non è né un obbligo religioso né una tradizione culturale, ma piuttosto un mezzo per mantenere l'autorità e la sottomissione in tutta la società" da parte di un regime “religioso tirannico e misogino”, hanno scandito, compunti ed emozionati, Kiana e Ali. Il messaggio consegnato dall’attivista non ha concesso spazio alla violenza, indicando nella “resistenza continua e nella non violenza le migliori strategie per realizzare il cambiamento”. "La realtà – sono ancora parole di Narges Mohammadi - è che il regime della Repubblica Islamica è al livello più basso di legittimità e di sostegno sociale popolare. Ora è il momento che la società civile internazionale sostenga il popolo iraniano e farò tutto il possibile in questo senso".
QUI IL DISCORSO COMPLETO (PDF IN INGLESE)
Da parte sua il regime iraniano ha reagito, definendo le proteste una “sovversione guidata dall’Occidente” e lanciando strali contro il comitato del Nobel, accusato “di intromettersi e politicizzare la questione dei diritti umani”.
L'attivista iraniana Narges Mohammadi - ANSA
Narges Mohammadi è la diciannovesima donna a vincere il Premio Nobel per la Pace e la seconda donna iraniana dopo l'attivista per i diritti umani Shirin Ebadi a cui fu assegnato nel 2003. È la quinta volta in 122 anni di storia del premio che il premio per la pace viene assegnato a qualcuno che si trova in prigione o agli arresti domiciliari. Ma la “guerra ai premi” di Teheran non si ferma qui. I genitori e il fratello di Mahsa Amini, la ragazza di 22 anni morta mentre era in custodia presso la polizia morale iraniana perché “mal vestita”, la cui tragica fine ha “acceso” la rivolta in Iran del 2022 non potranno essere mercoledì a Strasburgo per la consegna del Premio Sakharov, la massima onorificenza in materia di diritti umani del Parlamento Europeo. «Ai familiari di Mahsa è stato vietato di salire sul volo che li avrebbe portati in Francia nonostante avessero il visto», ha fatto sapere sabato scorso l’avvocato Chirinne Ardakani. «I loro passaporti sono stati confiscati», ha aggiunto.
“Forse rivedrò mia madre tra 30 o 40 anni, ma penso che non la rivedrò più . Non importa, perché mia madre vivrà sempre nel mio cuore, così come vivranno i valori per i quali vale la pena lottare”, ha detto Kiana. Parole oltre le sbarre.