Africa. Via all'ultimo tentativo per la pace sulla diga etiope del Nilo
Sono iniziate a luglio le operazioni di parziale riempimento della Grand Ethiopian Renaissance Dam che intercetta le acque del Nilo Azzurro
«Seguo con particolare attenzione la situazione delle difficili trattative sulla questione del Nilo tra Egitto, Etiopia e Sudan. Invito tutte le parti a continuare sulla via del dialogo affinché il fiume eterno continui ad essere una linfa di vita che unisce, e non divide, che nutre sempre amicizia, prosperità, fratellanza, e mai inimicizia, incomprensione o conflitto». Con queste parole, rivolte sabato scorso all’Angelus ai «cari fratelli dell’Egitto, dell’Etiopia e del Sudan », papa Francesco ha fatto sentire la propria voce, al termine della recita dell’Angelus, riguardo alla disputa internazionale per lo sfruttamento delle acque del Nilo Azzurro, sbarrate dalla Grande Diga della Rinascita Etiope (Gerd). Il Pontefice è intervenuto in un frangente cruciale: domenica, i ministri delle Risorse idriche, dell’Irrigazione e degli Affari esteri di Egitto, Sudan ed Etiopia si sono ritrovati ad Addis Abeba per rivedere i punti chiave dell’accordo che i tre Paesi stanno faticosamente definendo. Le Nazioni Unite hanno coordinato l’incontro, tenutosi alla presenza – virtuale, in collegamento Web – di rappresentanti dell’Unione africana, del ministero degli Esteri sudafricano e dell’Auto- rità inter-governamentale per lo sviluppo (Igad). Poi, ieri, come annunciato dai media africani, i negoziati veri e propri sono stati riaperti. L’azione diplomatica internazionale è protagonista di un’accelerazione da quando, all’inizio del mese di luglio, le autorità etiopi hanno dato il via alle operazioni di riempimento della diga, eretta sull’affluente del Nilo più strategico – se non vitale – per la sussistenza di egiziani e sudanesi. Sempre nella giornata di sabato, il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly e l’omologo sudanese Abdulla Hamdok, a Khartum, si sono incontrati per ribadire l’allineamento delle loro posizioni, coerentemente con la Dichiarazione di principio del 2015: uno sfruttamento equilibrato e giusto implica, cioè, che anche il riempimento del bacino artificiale sia graduale, in modo che l’impatto per Egitto e Sudan sia distribuito nel tempo.
Il nuovo round negoziale inaugurato ieri dovrebbe durare due settimane: Cairo e Khartum intendono lavorare su di un’agenda precisa, concordata a tre, mentre Addis Abeba vorrebbe definire solo la questione del primo riempimento, sempre senza condizioni vincolanti. Anche il mini-vertice africano e quello dei ministri dell’Irrigazione del 3 agosto sembrano aver disteso gli animi, dopo settimane di tensione. Non è ancora il momento, tuttavia, di tirare il fiato: le trattative durano dal 2011. Più volte il Cairo ha lasciato intendere di non escludere un intervento armato contro l’infrastruttura per tutelare i propri interessi. Nel frattempo, a fine luglio, Addis Abeba ha trionfalmente annunciato di avere centrato tutti gli obiettivi fissati per il primo anno dello sbarramento e di poter così procedere con i test delle turbine: per il fabbisogno energetico di 65 milioni di etiopi e il loro sviluppo socio-economico, il progetto idroelettrico è cruciale.