Africa. La strage in chiesa: Nigeria, il gigante di 250 etnie e la lotta per la terra
La chiesa di San Francesco devastata dall'attacco nella domenica di Pentecoste
Il massacro perpetrato domenica scorsa all’interno chiesa cattolica di San Francesco, nella città di Owo, è l’ennesima conferma del malessere che attraversa la Nigeria. Sebbene gli autori dell’efferato crimine non siano ancora venuti allo scoperto, il movente potrebbe ascriversi alle sanguinose tensioni interetniche e interreligiose tra i pastori nomadi fulani e quelle comunità più sedentarie dedite all’agricoltura, come ad esempio la popolazione Yoruba.
Dunque, la barbara uccisione di così tanta gente, che partecipava alla Santa Messa domenicale, sarebbe stata ideata con l’intento di contrastare in modo violento il «rigoroso rispetto della legge sul pascolo aperto», imposto recentemente, in ottemperanza a normative locali già da tempo vigenti, dal governatore dello Stato dell’Ondo, Oluwarotimi Akeredolu. Da rilevare che già in passato i fulani avevano compiuto razzie d’ogni genere, ma mai si erano spinti così a meridione nella Repubblica federale nigeriana, organizzando un attentato che, nella sua dinamica, richiama quelli perpetrati dalla più nota organizzazione islamista Boko Haram.
Tradizionalmente legati alla fascia territoriale saheliana, i fulani da tempi ancestrali si spingono verso meridione in cerca di pascoli e trovano l’opposizione delle popolazioni stanziali e delle autorità locali. Occorre tenere presente che è impossibile redigere un computo dei gruppi armati e delle bande che imperversano in questo Gigante africano, con una popolazione difficile da censire, comunque di oltre 200 milioni di abitanti, disseminati in un territorio di 923.769 chilometri quadrati, la cui densità abitativa è di 223 persone per chilometro quadrato.
Da questo già si evince come il tema della terra sia scottante per tutti, considerando peraltro che questi gruppi pastoralisti, dalle zone semiaride della fascia saheliana spingono a Sud anche perché spinti dal Global Warming che non hanno certo inventato loro. Sta di fatto che la convivenza tra i 250 gruppi etnici che popolano la federazione nigeriana, molti dei quali minoritari, non è facile, partendo dal presupposto che il Nord è d’estrazione religiosa islamica, mentre il sud è cristiano (con un numero spropositato di chiese indipendenti, oltre a quelle fondate dai missionari cattolici e protestanti) e animista.
Ancora una volta, pertanto, si pone la vexata quaestio dell’integrazione sociale all’interno del più popoloso Paese dell’Africa subasahariana, con straordinarie potenzialità economiche ma profondamente segnato dalle diseguaglianze sociali. Un contesto – è bene sottolinearlo – spesso dimenticato dalla grande stampa internazionale, dove a pagare il prezzo più alto sono i ceti meno abbienti. Pertanto fa piacere sapere del rinnovato impegno da parte delle autorità governative di Abuja in difesa dei diritti umani, garantendo sicurezza e partecipazione.
Ma è evidente che è ora di passare dalle buone intenzioni ad iniziative politiche che possano contrastare la piaga della povertà in Paese che galleggia sul petrolio e in cui la ricchezza è concentrata – e non da oggi – nelle mani di un manipolo di nababbi, con la connivenza delle multinazionali che operano nell’industria estrattiva d’ogni genere d’idrocarburi. A questo punto viene spontaneo domandarsi come mai l’obiettivo dei terroristi sia stata una chiesa cattolica. L’attentato, in quanto tale, porta certamente alla ribalta ancora una volta una strategia ben consolidata in Nigeria e in altri Paesi dell’Africa subsahariana.
Quella perseguita da non pochi gruppi sediziosi che strumentalizzano la religione per fini eversivi, con l’intento dichiarato di destabilizzare lo stato di diritto. D’altronde, quella dei fulani, è una delle tante componenti armate che in questi anni hanno insanguinato la Nigeria, terreno di scontro tra gruppi jihadisti e reparti dell’esercito regolare nel nord; per non parlare delle bande di saccheggiatori e rapitori nel nord-ovest e nel centro; mentre il sud-est è teatro di azioni sovversive da parte di gruppi armati di matrice separatista.