Nicaragua, il pugno di ferro di Ortega. Sacerdoti ostili trattati come «golpisti»
Maduro, Ortega e la vice Rosario Murillo
«Sobillatori» che, nei loro sermoni, diffondono «l’odio e la rabbia» nei confronti del governo. «Complici del colpo di stato»: per questo «meritano di essere processati» mentre «le loro comunità e associazioni dovrebbero essere oggetto di indagini approfondite». L’oggetto del violento j’accuse del Parlamento nicaraguense – sotto il controllo del presidente Daniel Ortega – sono i sacerdoti, i vescovi e l’intera Chiesa cattolica. In un testo, appena approvato, l’Assemblea nazionale ha “invitato” la giustizia a mettere sotto inchiesta il clero per aver dato protezione ai manifestanti pacifici durante la repressione delle proteste del 2018. La cosiddetta “rivolta d’aprile” fu stroncata nel giro di qualche mese dal pugno di ferro orteguista. Nel sangue. La Commissione interamericana per i diritti umani parla di almeno 350 vittime. A partire da allora, centinaia di persone sono state arrestate in cicliche retate e condannate a lunghe pene. Tuttora, in carcere ci sono 170 prigionieri per ragioni politiche. Tra loro, i sette aspiranti candidati alle presidenziali dello scorso novembre, vinte senza reale opposizione da Ortega per la quarta volta, di cui la terza consecutiva. Di tutto questo, però, il rapporto del Parlamento non fa menzione. Al contrario, l’esecutivo viene presentato come bersaglio di un intento di destabilizzazione feroce, in cui rimasero uccisi numerosi sostenitori. I familiari di questi ultimi «hanno chiesto pene più severe nei confronti degli ecclesiastici e direttori di organizzazioni per i diritti umani che si sono lanciati nell’avventura golpista».
I deputati, pertanto, sono già all’opera per modificare il codice penale. Il testo dell’Assemblea è l’ultimo di una serie di attacchi di Ortega – che, come la moglie e vicepresidente Rosario Murillo si dichiara cattolico praticante – verso la Chiesa, l’unico spazio di libertà rimasto in un contesto sempre più restrittivo. Più volte la coppia ha pronunciato incendiarie dichiarazioni contro preti e vescovi «golpisti». A marzo c’è stata l’espulsione del nunzio, Waldemar Stanislaw Sommertag, protagonista di due intenti di dialogo tra il governo e l’opposizione. Poi c’è stato il taglio dei fondi all’Università centroamericana di Managua (Uca) dei gesuiti.
Con la recente riforma della legge per l’educazione, l’ateneo viene classificato come «privato» e pertanto escluso dai contributi pubblici che consentivano di elargire centinaia di borse di studio. Poco dopo, lo stesso presidente ha minacciato di rendere illegale il suo Istituto di storia della Uca.
Il giro di vite potrebbe, però, rientrare in un complesso “gioco al rialzo” con la comunità internazionale. In particolare con gli Usa. È evidente che la crisi ucraina e la “nuova Guerra fredda” tra Washington e Mosca sta rimescolando le “carte politiche” in America Latina. Un nuovo giro di valzer delle alleanze, come dimostra la vicenda del venezuelano Nicolás Maduro – nonché fedele amico di Managua – che lo stop al petrolio russo starebbe riportando nelle grazie di Joe Biden. Anche Ortega è ansioso di approfittare dell’ansia di Washington di isolare la Russia e di spezzare le reti da questa costruite con Cuba, Nicaragua e Venezuela. Secondo quanto riferito dal New York Times, il figlio Laureano – consulente dell’esecutivo e potente uomo d’affari – avrebbe cercato un «avvicinamento discreto» con l’Amministrazione democratica negli ultimi tempi. Il principale obiettivo è ottenere l’alleggerimento delle sanzioni decise dal dipartimento di Stato nei confronti dei vertici del regime. Finora gli Usa non sembrano disposti a desistere dalla “linea rossa” del rilascio dei prigionieri politici. Washington, però, è abituata a muoversi a geometria variabile sull’asse amico-nemico. La partita è aperta.