Perseguitati. Nicaragua, il vescovo Álvarez e altri sacerdoti scarcerati ed esiliati
Il vescovo nicaraguense Rolando Álvarez: è rimasto imprigionato per 528 giorni, di cui 339 in una cella di massima sicurezza del carcere di La Modelo di Managua
Liberi, finalmente. Ma costretti a lasciare il proprio Paese. Perché nel Nicaragua del regime di Daniel Ortega – e della vice, nonché moglie, Rosario Murillo – la loro voce scomoda rappresenta una minaccia. Soprattutto la sua, quella di monsignor Rolando Álvarez, imprigionato per 528 giorni, di cui 339 in una cella di massima sicurezza del carcere di La Modelo di Managua.
Il vescovo di Metagalpa è uno dei 19 detenuti “ecclesiastici” caricati dal governo su un aereo nella notte tra sabato e domenica e inviati a Roma dove sono stati accolti dalla Santa Sede. Gli altri – ad eccezione di padre Jader Acosta – sono le vittime del “Natale nero”, la caccia a vescovi, sacerdoti e seminaristi perpetrata dal duo Ortega-Murillo nella settimana tra la vigilia di Natale e Capodanno. A cominciare da Isidoro Mora, vescovo di Siuna, “colpevole” di avere menzionato nell’omelia domenicale monsignor Álvarez e, per questo, incarcerato il 20 dicembre insieme ai seminaristi Alester Sáenz e Tony Palacios. Poi è toccato ai sacerdoti Pablo Villafranca, Héctor Treminio, Carlos Avilés, Fernando Calero, Marcos Díaz Prado, Silvio Fonseca, Mykel Monterrey, Raúl Zamora, Gerardo José Rodríguez, Miguel Mántica, Jader Hernández, Ismael Serrano, José Gustavo Sandino, Óscar Escoto.
Tutti sono stati ricevuti in Vaticano che sta garantendo loro assistenza affinché possano sistemarsi a Roma. Il ruolo della Santa Sede – come ha riconosciuto lo stesso governo nicaraguense e hanno ribadito vari esponenti della Chiesa locale – è stato fondamentale per il rilascio. «Ringraziamo profondamente il Santo Padre, papa Francesco; la Segreteria di Stato, il titolare, il cardinale Pietro Parolin, e il suo gruppo di lavoro; per le rispettose e discrete gestioni compiute al fine di rendere possibile il viaggio in Vaticano dei vescovi, 15 sacerdoti e due seminaristi», si legge in un comunicato diffuso dalla presidenza di Managua. Il governo ha anche parlato di un «dialogo franco, diretto, prudente e molto serio» che avrebbe consentito di risolvere la questione. Un riferimento implicito all’appello al dialogo fatto dal Pontefice al termine dell’Angelus di Capodanno e, poco dopo, nel recente discorso di fronte al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
L’esilio degli oppositori, reali o presunti, è diventata una politica ricorrente del regime. Un primo gruppo di 222 detenuti è stato spedito negli Usa il 9 febbraio scorso. Tra i passeggeri avrebbe dovuto esserci anche monsignor Álvarez che, però, si rifiutò di partire. Per punizione, il vescovo fu trasferito dagli arresti domiciliari a La Modelo. Un secondo intento di portare a Roma il pastore era stato compiuto dal Vaticano lo scorso luglio ma l’accordo era saltato all’ultimo. Almeno, tre mesi dopo, si è concretizzato l’invio di dodici sacerdoti prigionieri alla Santa Sede. Poi ne sono arrivati altri otto. Il vescovo Silvio Báez, ausiliare di Managua, riparato a Miami, ha esortato ieri i fedeli a ringraziare Francesco per «l’interesse, la vicinanza e l’affetto per il Nicaragua».
Nel Paese, la persecuzione nei confronti di preti, vescovi, religiose e religiose è sempre più brutale. Un paradosso apparente in una nazione a gran maggioranza cattolica. Gli stessi Ortega e Murillo si definiscono credenti e praticanti. In effetti, la Chiesa è nel mirino non per questioni dottrinali quanto poiché è l’ultima realtà indipendente rimasta dopo l’azzeramento di media, organizzazioni e partiti indipendenti in seguito alla rivolta nonviolenta dell’aprile 2018. Da allora, 203 esponenti del clero sono stati esiliati, espulsi o costretti a partire, l’80 per cento di questi nel corso dell’anno scorso, il più tragico per la comunità ecclesiale. Partenza dopo partenza quest’ultima viene privata dei propri punti di riferimento. Soprattutto delle figure maggiormente profetiche e impegnate. E, insieme alla Chiesa, il Nicaragua tutto viene ridotto al silenzio.
Il dittatore del Nicaragua, Daniel Ortega: sua vice è la moglie Rosario Murillo - Reuters