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Israele-Hamas. Netanyahu vuole l’evacuazione di Rafah. Attaccato ospedale a Khan Yunis

Anna Maria Brogi sabato 10 febbraio 2024

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Nella notte carri armati e proiettili di artiglieria israeliani hanno preso di mira i piani superiori del complesso medico Nasser a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, riferisce al-Jazeera. Una donna è stata uccisa da un cecchino israeliano davanti al cancello d'ingresso del centro medico, e altri morti e feriti sono stati segnalati a causa dei bombardamenti nel complesso ospedaliero. Da ieri sera, il ministero della Sanità di Hamas ha contato 110 morti, di cui 25 negli attacchi a Rafah. Ieri le forze israeliane hanno preso d'assalto l'altro ospedale principale della città, al-Amal.

C’è una linea di non ritorno dal dramma di Gaza. E quella linea si chiama Rafah. L’ultima città della Striscia ancora in piedi è anche l’ultima geograficamente: oltre c’è il muro del confine egiziano. Spinti sempre più a sud dagli ordini di evacuazione dell’esercito israeliano, più di metà dei 2,3 milioni di gazawi sono ammassati in quel brandello di terra che va da Rafah al mare. Dove fino a quattro mesi fa vivevano in 250mila ora si stringe un milione e mezzo di sfollati. Se l’esercito arrivasse fin qui – come annunciato dal governo di Benjamin Netanyahu – sarebbe uno sterminio. L’amministrazione Usa l’ha ben presente, così come i Paesi arabi. La reazione militare di Israele a Gaza sta diventando «esagerata», ha detto chiaro e tondo il presidente Joe Biden: «Troppi innocenti stanno morendo e questo deve finire». Parole pesanti, dal Paese che più sostiene lo Stato ebraico. L’urgenza del cessate il fuoco e di «passi irreversibili» verso la soluzione dei due Stati viene ribadita da Riad, dove i ministri degli Esteri di Qatar, Egitto, Giordania ed Emirati Arabi si sono riuniti con il segretario generale del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. L’Egitto ha rafforzato la sicurezza al valico.

La risposta di Netanyahu non cambia, inesorabile come i carri armati: ha ordinato all’esercito e ai vertici della Difesa di presentargli un doppio piano per evacuare i civili da Rafah e per sconfiggere i battaglioni di Hamas rimasti operativi nell’ultima città. «Non è possibile raggiungere gli obiettivi della guerra per l’eliminazione di Hamas e al tempo stesso lasciare quattro suoi battaglioni a Rafah» ha detto, aggiungendo che «è chiaro che un’operazione potente a Rafah obbliga allo sgombero dei civili dalle zone di combattimento».

A proposito della situazione a Rafah, il segretario generale del Consiglio norvegese per i rifugiati ammonisce che «non è consentita la guerra in un gigantesco campo profughi», mettendo in guardia da un «bagno di sangue». L’Unicef ricorda che «nell’area risiedono più di 600mila bambini e le loro famiglie». Medici senza frontiere (Msf) riferisce che «a Rafah si fatica a trovare acqua pulita per bere, cucinare o lavarsi»: «Le condizioni di vita delle persone a sud della Striscia sono disperate a causa del sovrappopolamento e della mancanza di acqua pulita, servizi igienici, docce e fognature. Il tutto è aggravato dalle temperature invernali». «Un uomo non vedente – testimonia Msf – è venuto con la giovane figlia: la ragazza lo guidava e il padre portava l’acqua. Hanno camminato due chilometri per arrivare qui, dal momento che non c’è acqua pulita in al-Mawasi, l’area sulla costa in cui vivono». Al-Mawasi è la zona di evacuazione indicata finora dalle Forze di difesa come alternativa a Rafah: priva di qualsiasi struttura, è un deserto sul mare senza neanche un albero. Oggi è una distesa di tende rudimentali, quelle degli ultimi arrivati che non hanno trovato spazio a Rafah, i più disperati.

La mancanza di acqua pulita, denuncia Msf, causa diarrea e malattie della pelle soprattutto tra i bambini: ne è affetto quasi il 30% di quelli sotto i 5 anni arrivati alla clinica Msf di Shaboura e al centro sanitario di al-Mawasi. Ci sono stati anche 43 casi di sospetta epatite A. Le principali difficoltà nella distribuzione dell’acqua, denuncia ancora Msf, sono «la mancanza di carburante necessario alle pompe e al trasporto e la mancanza di strade adatte per la viabilità dei camion, poiché ci sono tende anche sull’asfalto, oltre al fatto che persino i punti di distribuzione dell’acqua sono stati bombardati. Tubature, strade e infrastrutture sono distrutte».

L’altra notte i raid sul centro e il sud della Striscia, e in particolare su Rafah, hanno provocato almeno 9 vittime, fra cui donne e 3 bambini secondo il ministero di Hamas. Il bilancio complessivo sarebbe salito a 27.947 morti e 67.459 feriti. Aiuto alla Chiesa che Soffre ricorda che dall’inizio del conflitto sono morti 30 cristiani: 17 uccisi nell’attacco di ottobre al complesso parrocchiale greco-ortodosso, due donne uccise dai cecchini nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia e altre 11 persone decedute in conseguenza di malattie croniche per le quali non si trovano i farmaci.

Saranno invece curati in Italia una decina di bambini e ragazzi feriti o gravemente malati, partiti ieri dal Cairo assieme a una quindicina di familiari. Si tratta del terzo gruppo che arriva, grazie anche alla disponibilità ad accoglierli da parte di enti del terzo settore (tra cui Sant’Egidio e Caritas): 11 erano sbarcati con un volo militare il 19 gennaio, altri 18 sulla nave ospedale Vulcano. Per un totale di 86 persone, con gli accompagnatori. Una goccia di sollievo in un mare di sofferenza.