Israele. La guerra svuota la città di Gesù: Pasqua senza turisti a Nazareth
I negozi del mercato di Nazareth sono chiusi
Tutti i souvenir sono a metà prezzo. "Ma se prende qualcosa le faccio un ulteriore sconto. E’ la seconda cliente della giornata”, dice Nizar, proprietario dell’omonimo negozio, tra i più antichi e rinomati di Nazareth, adiacente alla chiesa dell’Annunciazione. E’ l’unico aperto lungo al-Bishara street. Perfino il mercato, in cima alla via, è una fila di saracinesche abbassate, decine e decine. “No, non è perché è la domenica di Pasqua. Al contrario. Questo è sempre stato un giorno clou per chiunque lavora nel turismo. Solo nei miei tre empori venivano tra le 10mila e le 15mila persone. E ora guardi, è tutto a sua disposizione”, aggiunge, con un sorriso amaro il venditore che ha dovuto chiudere gli altri due empori. “Dopo il 7 ottobre ho provato a resistere, almeno per dare lavoro ai sette impiegati. A novembre, però, ho dovuto cedere. Ho tenuto solo questo, il primo, siamo in attività dal 1960. Per questo riesco ancora a sopravvivere, anche se è dura. Il fatto è che non viene nessuno. Tranne qualche lavoratore straniero residente in Israele che approfitta della Settimana Santa per fare un giro nei luoghi più emblematici della nazione”.
Nazareth appunto, la città – all’epoca villaggio – dove Gesù è cresciuto e ha vissuto gran parte della sua vita adulta. La terza meta più visitata dai pellegrini delle Terra Santa, dopo Gerusalemme e Betlemme, con una media di 4 milioni di presenze l’anno e un picco nel tempo pasquale, considerato l’altissima stagione che va avanti fino alla Pentecoste. Difficile immaginare la folla di migliaia e migliaia di persone e pullman davanti alla basilica eretta nel luogo in cui, secondo la tradizione, l’arcangelo Gabriele si è manifestato a Maria. Il piazzale dell’Annunciazione è vuoto, come l’interno della struttura circolare, suddivisa su due piani. Deserto è pure il tempio costruito nel punto in cui ci sarebbe stata la falegnameria di Giuseppe. La cappella della Sinagoga – dove si sarebbe trovata l’antica sinagoga in cui, secondo il racconto di Luca, Gesù ha cominciato la propria predicazione – è addirittura chiusa. “Ma non si preoccupi, gliela apro e l’accompagno - dice in perfetto italiano padre Basilio Bawardi, parroco della chiesa greco-cattolica -. Tanto, a parte le celebrazioni, non c’è movimento. Per fortuna ci sono i fedeli locali”.
Un terzo degli 80mila abitanti di Nazareth – la capitale degli arabo-israeliani - è cristiano. Il resto è musulmano. “Dopo la guerra 1948, molti rifugiati del sud e del centro si sono trasferiti qui. Così gli islamici sono diventati la maggioranza. Ma, come si vede dall’architettura e dal numero di chiese, Nazareth è sempre stata una città cristiana”, racconta Raeed, guida turistica al momento disoccupata. I gruppi che accompagnava – al ritmo di uno ogni settimana, di trenta o quaranta persone – sono scomparsi dall’inizio della guerra. Il collega Osama ne ha avuto solo uno in quasi sei mesi. “Ma erano persone in ritiro spirituale. Dunque non mi sono fatto pagare”, dichiara. L’assenza dei pellegrini ha svuotato ristoranti, bar, bancarelle, negozi, hotel. “Direi che il 95 per cento è fermo”, afferma Firas Saffoury dell’agenzia Safe Trip. Solo qualche centinaio delle tremila camere alberghiere disponibili – normalmente prenotate fino all’estate – è occupato dagli sfollati che hanno lasciato i kibbutz del nord per gli attacchi di Hezbollah. Così le strutture più grandi sono rimaste in funzione. Ostelli e bed and breakfast – molti appena rimodernati nella convinzione di una ripresa con scatto dopo la pausa forzata del Covid -, invece, sono sprangati. Israele aveva previsto un boom di turisti nel 2023: 5,5 milioni di persone, un milione in più del record del 2019. Ne sono arrivati poco più della metà - 3 milioni – e quasi tutti prima di ottobre. Lo scorso febbraio, l’ultimo mese per cui sono disponibili i dati del ministero del Turismo di Tel Aviv, sono arrivati in 67.500, il 78 per cento in meno dello stesso periodo del 2023. La crisi del settore – da cui dipende il 3 per cento del Pil israeliano e 200mila impieghi – è evidente.
“Come faccio ad andare avanti? Il governo ci dà un contributo equivalente al 20 per cento del salario. Il resto con i risparmi”, aggiunge Raeed che, nonostante le difficoltà, offre indicazioni con generosità ai pochissimi presente e rifiuta categoricamente di essere pagato. “Ci mancherebbe. E’ Pasqua. Ed è bello che qualcuno abbia accolto il messaggio del Signore Risorto e sia venuto ad aspettarlo in Galilea. Dobbiamo crederci. Questo momento oscuro finirà. E Nazareth riprenderà a vivere".