Ancora si tratta di 'esami preliminari'. Piccoli test per sondare il terreno, calcolare i rischi e le possibilità di evitarli. A breve, però, si potrebbe passare alle prove generali. E quindi al debutto dei narcos messicani – riuniti nei cosiddetti cartelli – in Europa.Quest’ultima rappresenta un mercato 'interessante' per i trafficanti centroamericani. Con quattro nuovi milioni di consumatori nell’ultimo anno, di cui un terzo giovani tra i 15 e i 34 anni, il Vecchio Continente offre loro buoni margini di guadagno. Una prospettiva ancor più allettante ora che la penetrazione nella 'piazza' statunitense s’è fatta più difficile. Per due ragioni. Primo, la concorrenza tra i diversi cartelli – undici organizzazioni – è spietata: tutti vogliono accaparrarsi 'la linea', il redditizio corridoio nella frontiera Usa attraverso cui filtra la droga. Il confine, però – e questa è la secondo motivazione dell’attenzione per il territorio europeo – è sempre più blindato. Le autorità di Washington, terrorizzate all’idea che la violenza narco si estenda a Nord del Rio Bravo, hanno schierato lungo i tremila chilometri tra i due Stati ben 30mila agenti. In media, 10 funzionari per chilometro quadrato. Non che questi siano riusciti ad arginare il traffico. Il Nordamerica resta il 'business' principale per i narcos. Che esplorano, però, giri d’affari integrativi, non alternativi.L’Europa, appunto. Dove proprio ieri a Madrid la polizia spagnola ha smantellato il più grande laboratorio di cocaina del continente (300 chili di droga e 33 tonnellate di prodotti chimici sequestrati, svariati milioni di euro in contanti, 25 arresti). O meglio le Europe: quella Occidentale, col suo già consistente 'bottino' di consumatori, e quella Orientale, ancora poco sfruttata. La cocaina qui non è una droga di massa. Almeno secondo le recenti stime dell’Osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze (Oedt), basate sulle quantità di stupefacenti sequestrate 'a est di Vienna'. Solo negli ultimi anni, queste si sono fatte significative. Il Vecchio Continente è, inoltre, la porta per l’Asia. «Quest’ultima, la Russia e l’Africa sono i nuovi mercati in espansione. È naturale che i narcos messicani vogliano entrare nell’affare», spiega Piero Innocenti, dirigente della polizia ed ex agente di collegamento in Colombia, che ha descritto le nuove rotte mondiali degli stupefacenti nel libro Narcostati in America Latina , pubblicato da Berti. Per aprirsi un varco in Europa, i cartelli messicani realizzano alleanze con i gruppi criminali locali.Una strategia innovativa rispetto a quella adottata negli Stati Uniti. Qui, i narcos sono soliti formare 'succursali' criminali che si occupano della distribuzione. Queste non hanno libertà operativa: sono 'amministrate' dai vertici dell’organizzazione. Al di là dell’Atlantico, invece, si applica la divisione del lavoro: i centroamericani si occupano di far arrivare la droga, le mafie europee la fanno entrare e la spacciano. «Questo perché – afferma Laurent Laniel, esperto dell’Oedt – non hanno una presenza strutturata in Europa. Creare cellule richiederebbe eccessive risorse. È più conveniente appoggiarsi ai delinquenti già presenti e alle loro collaudate reti di distribuzione». Così si risparmia tempo, denaro e, soprattutto, si eludono con più facilità i controlli. «I cartelli messicani vogliono sostituirsi ai colombiani nel dominio della rotta europea – aggiunge Innocenti. – Fatto naturale, dato che ormai questi ultimi hanno perso slancio e potere in America Latina. Sono 'cartelitos', cioè piccole organizzazioni, come di dice a Bogotà».Anche per quanto riguarda il trasporto della droga, i narcos centroamericani inventano soluzioni ingegnose. In genere, la coca – prodotta in Colombia, Bolivia e Perù – attraversa l’Atlantico su grosse navi da carico. E raggiunge i porti europei seguendo tre diversi percorsi. La rotta nord – quella più usata, vi passa oltre il 40 per cento della coca destinata al Vecchio Continente – prevede tappe ai Caraibi e alle Azzorre. E si conclude negli scali portoghesi e spagnoli, principale 'punto di ingresso', insieme a quelli di Belgio, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Italia. La 'via del sud', invece, passa per Capo Verde o Madeira e le Canarie. Infine, negli ultimi anni, si è affermata la 'rotta africana': in questo caso il trampolino è l’Africa occidentale. Paesi con governi instabili e povertà diffusa come Benin, Gambia, Ghana, Guinea, Nigeria, Sierra Leone, Togo e Mauritania, offrono ai narcos buone possibilità di trovare 'coperture' per i loro traffici illeciti.I recenti maxi sequestri lungo le coste africane hanno spinto, però, i messicani a puntare sul trasporto aereo. Mediante lo stratagemma delle 'Aerolinas cocaina'. Data la crisi delle linee aeree sudamericane, i trafficanti acquistano vettori passeggeri – non i classici biposto – a basso prezzo e li utilizzano per portare la coca in Europa. La tecnica è venuta alla luce nel novembre 2009, in seguito alla scoperta, nel deserto del Mali, di un Boeing 727 incendiato e proveniente dal Venezuela. Sempre più spesso, inoltre, gli stupefacenti vengono portati su normali voli di linea nelle valigie dei corrieri. Per renderla 'invisibile', la sostanza – in forma di 'pasta di coca' o cloridrato – viene mescolata a prodotti legali che hanno la capacità chimica di occultarla. Come il cacao in polvere, il liquore di cioccolato, la cera d’api. Nonostante la fervida inventiva, alcuni esperti sono scettici sul 'salto europeo' dei messicani. «Per 25 anni i colombiani hanno cercato di assumere la leadership nel mercato europeo – racconta Pino Arlacchi, sociologo ed ex direttore dell’agenzia Onu sulla droga (Unodc) – con esiti però modesti. Mi sembra improbabile che ora possano riuscirci i cartelli messicani, molto violenti ma poco coesi. Nessuno di loro ha una macchina organizzativa paragonabile al gruppo di Cali o di Medellin ». C’è poi il problema del 'referente europeo': con chi allearsi? Se i colombiani potevano appoggiarsi a grandi gruppi criminali locali, ora questi ultimi si sono frammentati. «Ci sono tante piccole bande, formate spesso da incensurati, meno visibili agli occhi delle autorità – conclude Arlacchi – anche perché hanno scelto di ridurre al minimo la violenza». L’esatto opposto dei narcos messicani.