L'analisi. In 24 ore è tregua in Nagorno-Karabakh, ma resta fragile
L'evacuazione dei civili dal agorno-Karabakh da parte dei peacekeeper russi
Come in passato, come succede sempre: la fiammata degli scontri di ieri in Nagorno-Karabakh si è spenta oggi, con l’annuncio di un cessare in fuoco e l’avvio di trattative, da domani, tra Armenia e Azerbaigian: i morti in ventiquattr’ore di cannonate e raid di droni sarebbero 36, sette dei quali civili. Se inquieta il riesplodere a comando di uno dei conflitti tra i confini e il cuore dell’Europa, inquieta ancora di più la guerra a comando che Russia e Turchia, in questo caso, ma altri esempi si potrebbero fare, in coincidenza di eventi particolari. In questo caso l’apertura a New York dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, con l’intervento di Joe Biden e Volodymìyr Zelensky per mettere sotto accusa il Cremlino. Che solo vent’quattr’ore più tardi passa dal banco degli imputati a quello della ragionevolezza, mediando una situazione che sarebbe potuta deflagrare ed è pronta comunque a farlo ala prossima occasione. Il tutto alla vigilia dell'altro appuntamento sull'Ucraina, in programma oggi pomeriggio: la riunione in Consiglio di sicurezza in cui Zelensky parlerà delle aggressioni "criminali" russe guardando in faccia il ministro delgi Esteri russo Segreij Lavrov e presenterà la "suia pace, quiella targata Kiev.
I danni provocati dalle granate nel villaggio di Stepnakert nel Nagorno-Karabakh - Ansa
Come al solito i comunicati ufficiali, affidati alle agenzie di parte, rispecchiano solo una parta della verità. Le ostilità nel Nagorno-Karabakh si sono concluse a mezzogiorno ora di Mosca, con la mediazione del comando del contingente russo di mantenimento della pace. Lo ha riferito il centro unificato di informazione della non riconosciuta Repubblica del Nagorno-Karabakh secondo quanto riferisce l'agenzia russa Interfax. "E' stato concordato di cessare completamente le ostilità a partire dalle 13 del 20 settembre 2023, con la mediazione del comando del contingente russo di mantenimento della pace di stanza nel Nagorno-Karabakh", si legge nella nota. Secondo il centro di informazione della Repubblica del Nagorno-Karabakh, "è stato inoltre concordato di ritirare i restanti distaccamenti e truppe delle forze armate armene dalla zona di spiegamento del contingente russo di mantenimento della pace, di sciogliere e disarmare completamente le unità armate dell'Esercito di difesa del Nagorno-Karabakh e di ritirare attrezzature pesanti e attrezzature armi dal territorio del Nagorno-Karabakh per il bene del loro smaltimento il più presto possibile", ha affermato. Un'intesa scavalcando però Erevan che ne ha "avuto notizia dai media". Atto che dice molto anche sui rapporti che si stanno sfilacciando.
Al momento comunque il Cremlino non conferma la notizia. "Per ora non ho i dettagli e quindi non posso dire nulla al riguardo", ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov ai giornalisti. "I contatti sono continuati lì tutto il tempo. Pertanto, non posso confermarlo con certezza". Un modo come l’altro per il Cremlino di riservarsi l’ultima parola. Una mezza verità, si diceva, perché l’altra metà della medaglia vede un Azerbaigian sempre più orfano di Erdogan in altre faccende affaccendato, come del resto Vladimir Putin che con l’Armenia non ha più la cordialità di un tempo. Due Paesi abbandonati (quasi) a loro stessi nel compito di risolvere un conflitto scoppiato per un “mucchio di sassi”, come è stato detto in passato. Più o meno gli stessi “sassi” che alla fine del secolo scorso, tra il 1998 e il 2000 ha insanguinato il Corno d’Africa su una guerra combattuta per un fazzoletto di terra che dopo l’abbandono della Colonia da parte dell’Italia non era mai stato risolto tra Etiopia ed Eritrea. Guerre piccole, nascoste, invisibili agli occhi. Soprattutto dei media. Per questo si riaccendono quando i riflettori in possono ignorarle. Ma poi quelle luci si spengono. Come probabilmente avverrà a Erevan.