Guerra dopo il golpe. Urla del silenzio dal Myanmar: il triste record di 6.000 vittime
Il dittatore: il generale Min Aung Hlaing a capèo della giunta golpista
Nel Myanmar, nella morsa della guerra civile dal primo febbraio 2021, il numero dei morti è salito a 6.000 (in parte sotto detenzione o per esecuzioni sommarie) e mentre continuano le azioni militari indiscriminate il Paese si conferma quello con il maggior numero di vittime delle mine a livello mondiale. Le azioni umanitarie sono ridotte quasi a zero e le iniziative diplomatiche mirano più a un posizionamento favorevole post conflitto che a fermare la guerra civile. L'Asean (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico di cui anche il Myanmar guidato da quasi tre anni dal regime militare con base a Naypyidaw fa parte) sembra nei fatti impotente anche se sempre più intollerante verso la giunta militare.
In questa situazione, una massa di oltre tre milioni di profughi interni e molte migliaia di sfollati ospitati in campi nella foresta o sulle montagne preme su confini che restano chiusi se non per limitate fughe, come ancora accade verso il Bangladesh per i musulmani Rohingya. Oltre 21mila persone di ogni origine, sesso e età arrestati dal golpe sono ancora rinchiusi in carceri dove abusi sessuali, privazioni e tortura sono diffusi.
La cronaca di questi giorni si concentra su due dati. Il primo il superamento dei seimila morti dovuti a repressione e conflitto denunciato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti umani che ha chiesto “un’inversione di rotta” della comunità internazionale davanti a “oggi seimila promemoria di come essa stia mancando di sostenere il popolo del Myanmar”. Il secondo la conferma per il secondo anno consecutivo dell’uso indiscriminato di mine che sono costate finora oltre un migliaio di vittime, per i due terzi nell’anno che sta per concludersi.
Lo sforzo globale a favore del Myanmar resta ampiamente inadeguato, dicono gli esperti Onu: “Migliaia i vite sono state perse negli attacchi dei militari che spesso prendono di mira case e infrastrutture civili. Esecuzioni sommarie da parte delle forze della giunta sono comuni e particolarmente brutali e inumane. Secondo rapporti credibili quasi 2.000 individui sono stati uccisi sotto custodia, 365 sono stati giustiziati con colpi al capo e 215 bruciati vivi. Molte vittime sono state torturate a morte”.