Il presidente ugandese. «È vero, siamo amici dei russi. Ma noi nemici del terrorismo»
Museveni
Londra Al presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, 78 anni, al potere dal 1986, non manca neppure il «physique du rôle» del dittatore. Tra i corridoi del Royal Garden Hotel, nel lussuoso quartiere londinese di Kensington, si aggira con passo lento ma deciso tenendo tutti a debita distanza. Nella sala allestita per l’incontro con i giornalisti della stampa estera, tenuto al termine di una colazione con potenziali investitori britannici, entra scortato da uno stuolo di collaboratori e agenti della sicurezza. Della mascherina indossata a proteggere bocca e naso si libera solo quando si siede, dopo aver concesso a un “valletto” il permesso di disinfettargli le mani. Il «guerriero dei guerrieri», come si fa chiamare a Kampala, pare temere il Covid- 19 più del virus che sta uccidendo la sua gente. «Ebola è molto aggressivo ma facile da fermare – sottolinea - il vero problema è il Coronavirus perché non si trasmette per contatto ma per vie aeree».
Medici senza Frontiere ha stimato che negli ultimi due mesi ebola ha causato in Uganda almeno 141 casi e 55 morti. Presidente, conferma questi dati?
Penso che le cifre siano più o meno queste. Se siamo arrivati a questo punto è perché la popolazione non ha seguito sin dall’inizio le raccomandazioni del governo. Più volte abbiamo chiesto di rinunciare agli spostamenti tra i villaggi, di non toccare i corpi dei defunti. Non tutti ci hanno dato subito ascolto. Alla fine, però, sì. È per questo che ci sono molti sopravvissuti. Ora stiamo procedendo con i vaccini.
L’Uganda ha di recente annunciato l’invio di altri mille militari nella Repubblica democratica del Congo. Quali sono i suoi obiettivi nella regione dei Grandi Laghi?
Gli obiettivi sono due, e non sono solo dell'Uganda. Il primo è aiutare il governo del Congo a sconfiggere l’ingerenza straniera. Nella zona est c’è un vacuum di sicurezza creato da gruppi terroristi provenienti da Ruanda, Burundi, Somalia, Tanzania, Mozambico. Noi vogliamo distruggerli, costringerli ad arrendersi, a tornare nei rispettivi Paesi. È quello che stiamo cercando di fare da quasi un anno. Il secondo è risolvere anche le tensioni interne causate da altre forze ostili, utilizzando metodi politici come il dialogo ma anche la coercizione nel caso in cui queste non collaborino.
Lei è venuto nel Regno Unito ad attrarre investimenti. Molti sono però critici sui diritti umani: in particolare per le intimidazioini denunciate dall’opposizione alle ultime elezioni. È davvero sicuro di poter collaborare con Londra?
Io sto invitando gli imprenditori britannici a fare affari insieme a noi. Se non vogliono, non è un problema. Mi muoverò da solo. Ma non accetto critiche sul campo dei diritti umani, soprattutto da chi non ne sa molto al riguardo. Per cosa, se non per i diritti umani, avrei per esempio combattuto la guerra in Mozambico negli anni ‘90? Che vengano a parlarne con me.
Quanto l’Uganda è amica della Russia?
I russi sono ottimi amici. Ci hanno aiutato in diverse occasioni sin dal 1917. Il partito comunista sovietico ha sostenuto la decolonizzazione dell’Africa negli anni ’70. L’Uganda di oggi è però amica dei russi come lo è anche dei cinesi, dei britannici e degli americani. Siamo amici di tutti tranne che dei terroristi.
Conferma che l’oleodotto “Lake Albert” sarà operativo dal 2025? Ci sono forti critiche sull’impatto climatico che potrebbe avere?
Sì, il progetto è confermato. Niente lo fermerà. Ciò non significa che il nostro impegno a tutela dell’ambiente verrà meno. E’ per questo che stiamo sviluppando l’industria dei veicoli elettrici. Auto, bus, pickup, motociclette. Ritengo che la produzione di petrolio debba comunque continuare perché prima che venga rimpiazzato del tutto ci vorrà tempo.