Sudafrica. Idea choc a Pretoria: un muro per nascondere le periferie della povertà
Anche in Sudafrica la povertà addesso spaventa e va "nascosta", come vuole fare il sindaco della capitale Pretoria (Epa)
Nel Sudafrica che ormai oltre due decenni fa si è scrollato di dosso il marchio dell’apartheid, la separazione oggi non è più tra bianchi e neri, tra eredi dei colonizzatori ed etnie locali. Sono i soldi, oggi, come in ogni altro angolo del globo, a segnare il confine tra il “noi” e il “loro”, tra chi vive una parte di mondo e chi sopravvive a fatica in un’altra. E i due mondi – chi ha esplorato queste terre lo sa – non si incontrano quasi mai. Le nuove generazioni di neri ricchi vivono fianco a fianco ai ricchi bianchi, blindati nei loro residence controllati da guardie armate. La sera frequentano gli stessi locali, vanno in vacanza negli stessi posti. I poveri sono invece confinati negli insediamenti informali, le township, prive di accesso a servizi di base: la fa da padrone la violenza, e scuole e sanità hanno standard minimi.
È in un simile contesto che finisce con l’essere quasi «normale» la sconcertante notizia secondo cui il sindaco della capitale Pretoria, Solly Msimanga, ha annunciato la costruzione di un muro per separare due comunità, dopo le tensioni esplose tra i proprietari di una zona residenziale di Mamelodi e gli abitanti di una township chiamata Mountain View (niente a che vedere con la omonima e linda cittadina californiana in cui ha sede Google). È «normale» un muro a Pretoria perché non fa che fotografare una situazione di fatto, una situazione in cui i sogni di chi ha lottato contro l’apartheid e per uguali opportunità per tutti si sono infranti dinanzi all’avidità di pochi. Di chi ha fatto, ad esempio, dell’African National Congress (Anc) di Mandela una forza di governo eterna, solo per garantire l’ascesa dei figli dei quadri del partito e lasciare indietro milioni di persone. E a dimostrazione del poco senso che ormai hanno vecchie categorie interpretative, il sindaco in questione, la cui trovata è stata paragonata a quella di Donald Trump per il confine messicano, milita nella Democratic Alliance – ovvero nel principale partito di opposizione, erede di movimenti anti-apartheid dominati dai bianchi – di cui è anche il primo leader nero. «Il muro dovrebbe essere costruito il prima possibile, ormai tra le due comunità siamo all’occhio per occhio», ha tuonato Msimanga.
Le tensioni sono esplose mercoledì sera e sono continuate per tutta la giornata successiva. Decine di molotov sono state lanciate sia contro le case del complesso residenziale che contro una cinquantina di baracche. Tra i motivi di attrito ci sarebbe la continua sottrazione di elettricità ed acqua, attraverso allacciamenti illegali, da parte degli abitanti dell’insediamento. Molte famiglie di entrambe le comunità hanno perso la loro abitazione: il sindaco ha garantito che sarà data loro un’alternativa e ha schierato le forze dell’ordine, ma ha confermato che la soluzione non può che essere la costruzione di una barriera, in attesa che l’insediamento venga definitivamente spostato. Ma ai residenti non basta: vogliono che gli “irregolari” vadano via subito, altrimenti incendieranno l’intero campo.
È in questo scenario sociale che il presidente sudafricano Jacob Zuma rischia di porre fine in anticipo al suo mandato. La Corte costituzionale ha autorizzato la segretezza nel prossimo voto di fiducia in Parlamento: lo stesso Anc potrebbe disarcionare il suo uomo, al potere dal 2009, e rimpiazzarlo con un nome più forte. Zuma è già sopravvissuto ad altri voti di fiducia, ma la catena di scandali di corruzione che ha accompagnato il suo operato è ormai insostenibile. Il partito che fu di Mandela, e che non è riuscito a fare del “black empowerment”, il trasferimento dei poteri ai neri, una vera politica di emancipazione per milioni di diseredati, potrebbe presto trovare un nuovo padrone.
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