La storia. In Amazzonia, dove la pandemia uccide in silenzio
«Siamo arrivati tardi». Appena giunto nello Stato brasiliano dell’Amazonas in aprile, il team di Medici senza frontiere (Msf) ha capito che la pandemia era già fuori controllo. Al cronico abbandono dei servizi sanitari nelle regioni amazzoniche, negli ultimi anni, si è sommata una politica di ulteriori tagli che hao ridotto il sistema ai minimi termini. Se l’ospedale 28 Agosto di Manaus – principale metropoli dell’Amazzonia –, è andato subito al collasso, spingendo Msf ad intervenire, a vivere lo scenario più drammatico sono le comunità nell'interno della regione. Come Tefé a due o tre giorni di navigazione da Manaus, dove le uniche cure èer i 60mila abitanti arrivano via barca. E dove Msf ha deciso di operare, in modo da raggiungere anche le minuscole comunità sparse sulle rive del fiume.
Secondo le ultime rilevazioni della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), nei nove Paesi amazzonici, i contagiati sono ormai oltre 793mila, per un bilancio totale di quasi 22mila morti. Dei contagiati oltre 34mila sono indigeni, di 212 popoli differenti, mentre le vittime sono oltre 1.250.
I numeri, oltre ad essere sottostimati, non rivelano il fortissimo trauma nella cultura india per questo nuovo virus che sta facendo scomparire la generazione degli anziani, pilastro delle comunità. I nativi non si stancano di chiedere ai governi interventi concreti. Finora, però, a parte missionari, associazioni e Ong, il loro grido d’aiuto è rimasto inascoltato.
«Spesso sentiamo dire che la pandemia nell'Amazonas è ormai sotto controllo e si tratta solo di attendere il formarsi dell'immunità di gregge. E' un'assurdità. I sistemi sanitari sono al collasso e se non si interverrà il contagio continuerà ad espandersi», spiega Antonio Flores, coordinatore del team di Msf nella regione. E sottolinea: «I numeri nello Stato sembrano calare ma senza informazioni su quanto accade nelle comunità più interne temiamo che la malattia continui ad uccidere in silenzio». Per i nativi dell'Amazzonia, dunque, questa domenica, in cui ricorre la giornata Onu dedicata ai popoli indigeni, non può essere una festa.