Se l’avessero fatto davvero, avrebbero filmato tutto. E se avessero un video simile in mano, lo userebbero eccome. Ma, finora, silenzio. Torna a circolare la notizia secondo cui il Daesh avrebbe bruciato vive 19 donne e ragazze curde che si erano rifiutate di avere rapporti sessuali con i jihadisti: notizia pubblicata sabato scorso da Avvenire – con tutte le cautele del caso – e che fa molto riflettere. L’unica fonte è l’agenzia curdo-siriana Ara News, ma il suo successivo rilancio su alcuni tabloid britannici ha innescato negli ultimi tre giorni una più vasta diffusione. L’atroce punizione sarebbe stata inflitta alle giovani nella città di Mosul, che circa due anni fa è stata occupata dall’organizzazione terroristica. Secondo Ara News, le 19 donne sarebbero state rinchiuse in gabbie di ferro e bruciate nel centro della città di fronte a centinaia di persone. «Sono state arse vive – scrive l’agenzia citando un testimone –, ma nessuno ha potuto fare nulla per salvarle».Notizie di questo genere circolano, purtroppo, di frequente sul Web ed è molto difficile, per non dire impossibile, appurarne la veridicità. Viene da chiedersi, conoscendo la logica distorta e aberrante dei terroristi, come mai nulla sia ancora trapelato della vicenda sui media jihadisti, cosa che avveniva in passato. La macabra esecuzione con il fuoco era già stata inflitta dagli uomini del califfo a diversi prigionieri curdi o sciiti, come al pilota giordano Muad al-Kasasbeh, ucciso su Raqqa nel febbraio del 2015. E i video, rielaborati e confezionati con cura grafica (sottofondo musicale, dissolvenze, sottotitoli), erano stati pubblicati con grande enfasi sui siti jihadisti. Questa volta, nulla. Perché? E soprattutto perché ora? In momento in cui il Daesh è in grande difficoltà su tutti i fronti (Siraq come in Libia) e avrebbe più che mai bisogno di (macabra) propaganda ad effetto. E tenuto anche conto del fatto che “altri” video, di impatto molto inferiore, continuano a circolare, come quello, pubblicato proprio ieri, sulla distruzione di alcuni reperti archeologici a Mosul.L’unico elemento certo in tutta questa vicenda è che le «schiave sessuali » del Daesh ci sono, e che la loro sorte è estremamente preoccupante. Sono circa 3.000 le donne (in maggior parte yazide) che furono rapite in seguito all’occupazione, nell’agosto del 2014, della regione di Sinjar per essere “usate” dai jihadisti. Alcune di queste donne sono poi riuscite a scappare e a portare la loro testimonianza alle istanze internazionali, parlando degli stupri e di altre violenze subite. Pochi giorni fa, la Cnnha dedicato un servizio ad Abdallah Shrem, un uomo d’affari iracheno che lavora da tempo per riscattare le donne rapite dal Daesh. L’individuazione delle giovani sequestrate, ha spiegato Shrem, avviene talvolta grazie agli «annunci di vendita» pubblicati dagli stessi terroristi. Shrem ha raccontato di esser riuscito a liberare fino a oggi 240 donne, ricorrendo spesso all’aiuto – tramite il versamento di ingenti somme – di contrabbandieri per “agevolare” l’uscita dalle zone controllate dai jihadisti. Un lavoro, precisa Shrem, che richiede una lunga preparazione e che è costato la vita a diversi intermediari sorpresi dai terroristi.Al netto di tutti i dubbi, non è quindi escluso che l’ultima “punizione” sia stata davvero inflitta alle donne per aver tentato la fuga dall’inferno. E non è escluso nemmeno che nei prossimi giorni arrivino macabre testimonianze dell’accaduto. Tuttavia, per adesso, è il “silenzio” del Daesh la notizia dentro la 'notizia'.