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La mostra a Kiev. La guerra raccontata dai bambini ucraini. Con i loro oggetti

Francesca Ghirardelli domenica 28 luglio 2024

Gli oggetti in mostra

Fanno parte della collezione del museo un biglietto dell’autobus utilizzato in una serata particolare, un mazzo di chiavi di una casa che non esiste più e il pigiama indossato per attraversare a piedi il confine. In mostra ci sono oggetti di uso quotidiano, legati però a eventi eccezionali, e per questo carichi di significato per i ventinove bambini e ragazzi ucraini che li hanno donati al War Childhood Museum (Wcm), il Museo dell'Infanzia in Guerra.

Sin dal primo nucleo istituito nel 2017 a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, e poi con la sezione aperta a Kiev nel 2020, il museo documenta le esperienze individuali dell’infanzia segnata dai conflitti e propone una serie di racconti scritti da giovani testimoni e i loro oggetti personali, esposti in teche come fossero reperti preziosi di epoche lontane. La guerra, in Ucraina, però, è tutt’altro che un evento del passato. "È fondamentale raccogliere le testimonianze dei bambini adesso, e non alla fine del conflitto, affinché queste esperienze trovino posto nella narrazione complessiva del periodo bellico”, ha spiegato Svitlana Osipchuk, direttrice del Wcm ucraino. “Una rappresentazione completa è prerequisito per una società inclusiva. Sarà così impossibile per qualsiasi gruppo privilegiato appropriarsi della memoria della guerra in corso”.

Il biglietto utilizzato dopo una serata con gli amici. E prima di un razzo - War Childhood Museum

Nella nuova esposizione allestita al Taras Shevchenko National Museum di Kiev, tra gli oggetti in mostra c’è il biglietto del bus che Maksym, quindicenne di Zaporizhzhia, ha utilizzato nel viaggio di ritorno verso casa dopo una sera passata con gli amici. “Eravamo seduti su una panchina al parco quando un razzo è volato sul negozio di alimentari locale, a tre o quattro minuti a piedi da noi. Ricorderò quell’esplosione per il resto della vita”.

Il mazzo di chiavi di una casa che non esiste più - War Childhood Museum

Amina, nata nel 2008 e cresciuta a Mariupol, ha invece affidato al museo un mazzo di chiavi. Per fuggire dalla città racconta di aver dovuto affrontare “continui bombardamenti da parte dei russi. Il nostro convoglio non è stato colpito, è andata bene, siamo rimasti vivi. Queste sono le chiavi del mio appartamento. Ho deciso di donarle perché la casa non esiste più. Ciò che ho in mano adesso non ha significato. Non è rimasto nulla”.

Il pigiama che un bimbo ha indossato per attraversare a piedi il confine. - War Childhood Museum

Esposto in mostra c’è, poi, il pigiama “Tigro”, ispirato a un personaggio dei cartoni animati, appartenuto a Kateryna che ha sette anni. Con la famiglia è fuggita in Germania. “Ricordo come abbiamo attraversato il confine di notte, restando aggrappati a una coperta per non perderci. Alla frontiera, mi sono addormentata e qualcuno ha dovuto portarmi in braccio. Questo è il pigiama che indossavo”, spiega.

Un pupazzo di pezza per consolare il fratellino dopo la morte del padre in un’imboscata - War Childhood Museum

E, ancora, nella collezione c’è un pupazzo di pezza realizzato dal sedicenne Mykhailo per consolare suo fratello minore, dopo la morte del loro padre durante un’imboscata. Al momento dell’arruolamento, la madre lo aveva rassicurato: “Non sempre si muore nelle operazioni militari”. Ma poi era arrivata la notizia dell’uccisione. “Mio fratello aveva solo quattro anni quando papà è morto. Vorrei che fosse vivo, per poter andare a pescare insieme, scattare foto e disegnare come una volta”.

Le scarpette da danza indossate durante una lezione su Zoom interrotta da un bombardanmento - War Childhood Museum

Al Wcm la giovane Sofia ha, invece, affidato le sue scarpette da danza classica. Nei primi mesi dopo l’invasione russa ha continuato a partecipare alla scuola di balletto su Zoom. “L’insegnante teneva lezioni online e chi poteva si collegava anche da altre città” racconta nella sua testimonianza. “Ricordo una ragazza di Odessa. Eravamo nel bel mezzo del collegamento, abbiamo sentito un'esplosione e lei, senza spegnere la telecamera, è corsa nel seminterrato. Bombardavano durante la nostra lezione”.