Il regime di Bashar al-Assad è al capolinea. Che a fare questa affermazione sia stato ieri il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, non stupisce. Non è nemmeno la prima volta che la Nato – come del resto buona parte della comunità internazionale – riconosce il progressivo sgretolamento del governo. Di cui più volte è stata annunciata la fine imminente. A cogliere di sprovvista è, però, il fatto che perfino Mosca, fedele alleato e difensore di Damasco, si sia arresa e abbia cominciato a condividere questa prospettiva. Non in modo così netto come la Nato. Le dichiarazioni del vice ministro degli Esteri, Mikhail Bogdanov, sono, comunque, un eloquente segnale del “riposizionamento” russo. Preoccupata dal riconoscimento dato da Washington alla Coalizione delle opposizioni, Mosca sembra voler correre ai ripari. «Non possiamo escludere una vittoria dei rivoltosi – ha ammesso Bogdanov –. I fatti devono essere visti per quello che sono: il regime perde sempre più il controllo di una larga parte del territorio». Mentre i ribelli incalzano, «ispirati dal riconoscimento internazionale e addestrati con armi provenienti dall’estero», ha aggiunto il vice ministro. È la prima volta che la Russia ammette la possibilità di una sconfitta da parte di Damasco. Il realtà, alcuni piccoli, ambigui passi in questa direzione erano stati già compiuti nei giorni scorsi. Quando il premier Dmitrij Medvedev ha attribuito al regime la responsabilità di una strage e non più solo agli insorti. Uno spiraglio a cui ha fatto seguito la rassicurazione del ministro degli Esteri Sergeij Lavrov che ha garantito il non intervento armato russo in caso di attacco ad Assad. L’equilibrio del conflitto siriano, del resto, sembra pendere dalla parte dei ribelli. Che, nelle ultime settimane, hanno intensificato l’escalation. Cingendo d’assedio perfino la capitale. Dove la battaglia pare imminente. Come dimostrano gli attacchi delle ultime 48 ore. Due giorni fa, tre bombe hanno sfregiato il ministero dell’Interno. Cinque persone sono state uccise e altre 23 sono rimaste ferite. Tra loro il titolare, Mohammed Ibrahim al-Shaar, colpito dal crollo di un soffitto. L’assalto è stato rivendicato dal Fronte al-Nusra, tra le più radicali delle formazioni anti-Assad. Appena quattro giorni fa, il Dipartimento di Stato Usa l’ha definita «un’organizzazione terroristica internazionale » perché legata al-Qaeda. Eppure, fonti di Aleppo, citate dal quotidiano al-Hayat , sostengono che l’intelligence statunitense lascia ai miliziani sostanziale «via libera». I servizi segreti occidentali «sono presenti e lavorano nella striscia di confine tra Turchia e Siria e dunque non possono non sapere che i radicali hanno varcato la frontiera», dichiara la fonte. E aggiunge: nel Fronte combatterebbero anche 13 norvegesi di religione islamica. Ieri, un’altra autobomba è scoppiata nel sobborgo di Qatana, nel sud-est di Damasco, vicino a una scuola elementare. Il bilancio, peraltro ancora provvisorio, è di 16 morti e almeno 25 ferite. Ben sette delle vittime sono bambini. A Qatana, a 21 chilometri dalla capitale, vivono in prevalenza sunniti e cristiani. Per tutta la giornata, i combattimenti sono stati feroci. I Comitati locali di coordinamento hanno denunciato 102 nuove vittime. Numeri impossibili da verificare, come al solito, in un conflitto in cui la guerra mediatica procede parallelamente a quella reale. Come dimostra anche la polemica sul presunto utilizzo di missili Scud da parte del regime. Aaraba Idridd, un ex ufficiale siriano, che prestava servizio in un battaglione specializzato nel lancio di missili terra-aria e ora è passato nelle file dei ribelli circa dieci mesi fa, ha rivelato che il governo avrebbe scagliato alcuni Scud contro Aleppo quattro giorni fa. Di nuovo mercoledì un funzionario Usa, citato dal New York Times ha rivelato il lancio di sei Scud contro obiettivi nel nord della Siria. Informazioni confermate ieri da Rasmussen. «Nel corso della settimana è stato rilevato il lancio di un certo numero di missili a corto raggio all’interno della Siria e alcune prove indicano che si trattava di missili Scud», ha dichiarato il segretario della Nato. Damasco ha negato «categoricamente». In una nota, diffusa dal ministero degli Esteri e citata dalla tv di Stato, si dice: «La Siria smentisce in toto le voci secondo cui l’Esercito arabo siriano abbia sparato missili Scud».