Lavrov – ministro degli Esteri russo – dice che Mosca è pronta a un dialogo «aperto, onesto ed equo» sulla crisi ucraina. Putin – presidente russo – spedisce i militari in Crimea ad assaltare le postazioni di vigilanza ucraine, tiene alla larga (a colpi di arma da fuoco) gli osservatori internazionali dell’Osce e, soprattutto, minaccia di sospendere le ispezioni dell’arsenale strategico russo, siti nucleari compresi, se Usa e Nato continueranno a interferire sulla crisi in atto. Mosca mescola le carte insiste a giocare a modo suo la partita ucraina, facendosi beffe delle «misure» annunciate dalla comunità internazionale e tenendo ben inquadrato l’obiettivo finale: la “riconquista” della Crimea come trofeo da esibire per coprire il parziale fallimento a Kiev dove, complice una leadership corrotta e arrendevole – quella dell’ex presidente Viktor Janukovich, fuggito dal Paese quando le cose si stavo facendo difficili –, la “Rivoluzione del Maidan” ha portato ai posti di potere un governo filo-europeista decisamente ostile (ma sufficientemente fragile, vista la disastrosa situazione economica del Paese, da non impensierire troppo il Cremlino). Putin si muove da una posizione di forza. L’isolamento della Russia tanto minacciato da Stati Uniti ed Unione Europea è un’arma spuntata: troppi gli interessi in campo. Il presidente lo sa e per questo sul fronte diplomatico procede senza troppa cautela, rispolverando toni da Guerra fredda che nascondono solo una strategia lenta e attendista. A questa logica sembra rispondere la minaccia, arrivata ieri, di sospendere le ispezioni all’arsenale strategico. Ispezioni previste dal trattato sulla riduzione delle armi nucleari “Start III” firmato da Usa e Russia. «Siamo disposti a fare questo passo in risposta alle dichiarazioni del Pentagono sulla sospensione della collaborazione tra i ministeri della Difesa di Russa e Usa», ha dichiarato un alto funzionario del governo. Parole pesanti, ma solo parole. Peraltro subito alleggerite dall’intervento morbido di Lavrov sul «dialogo». È sul campo che Putin punta a mantenere una pressione forte e salda. E il campo è quello della Crimea. Sinora, nella Repubblica autonoma, i soldati russi non hanno dovuto sparare un colpo, e probabilmente le cose così resteranno fino al referendum di domenica prossima, quando la popolazione, a maggioranza filo-russa, voterà presumibilmente il distacco da Kiev. Ma nel frattempo la mano di Mosca deve farsi sentire. Ieri, una cinquantina di mezzi militari, senza insegne distinguibili ma evidentemente russi, si sono diretti indisturbati verso il centro di Sinferopoli, la capitale della Repubblica. Mentre truppe di assalto russe – secondo quanto denunciato da Kiev – hanno aggredito, in piena notte, in casa loro, le guardie di frontiera ucraine, mettendole in fuga. E hanno poi sparato, in giornata, contro un ricognitore di Kiev. Gli osservatori dell’Osce in Crimea non sono ancora riusciti a metterci piede. Kiev insiste perché entrino a monitorare la situazione. Mosca sbarra la strada: ieri, per la terza volta, il convoglio della missione è stato costretto a tornare indietro dopo alcuni spari di avvertimento. La diplomazia cerca soluzioni. Il presidente Usa Obama ha avuto colloqui con il cancelliere tedesco Merkel, il premier italiano Renzi, il presidente francese Hollande e il premier britannico Cameron. Merkel ha annunciato che non andrà al G8 di giugno se il referendum in Crimea si terrà davvero. L’impressione è però che la Repubblica sia data per “persa”. E la domanda è se Putin si “accontenterà”. ©