Russia. Navalny muore nella prigione di ghiaccio. Biden: «Putin colpevole»
In decine di città del mondo la gente ha reso omaggio ad Alexeij Navalny. Anche a Mosca ci sono stati gesti silenziosi di cordoglio: molti hanno deposto fiori e candele davanti al monumento dedicato alle vittime della repressione politica
La vita di Alexeij Navalny, il maggior oppositore al presidente Vladimir Putin, è finita una mattina d’inverno fra i ghiacci dell’Artico, mentre stava passeggiando nel cortile colonia penale di Kharp, quasi 2.000 chilometri a nord-ovest di Mosca e anni luce lontano da tutto quello che si possa definire rispetto dei diritti umani e die detenuti. Aveva 47 anni. Era arrivato qui lo scorso 25 dicembre, dopo che da giorni si erano perse le sue tracce e i suoi avvocati avevano quasi temuto il peggio. Non sapevano che il peggio sarebbe arrivato meno di due mesi dopo. I medici della struttura dicono di aver cercato di rianimare Navalny per mezz’ora, senza successo. La causa della morte, per il momento, è una trombosi.
Il politico di opposizione, dall’inizio della sua prigionia, nel 2021, veniva tenuto in condizioni disumane – 296 giorni in una cella di isolamento nei 37 mesi di detenzione – e senza cure. Ma il suo fisico era sorprendentemente forte. Lo ha confermato la madre, che ha detto di averlo trovato «sano e – come sempre – scanzonato» durante una visita, il 12 febbraio.
Il Cremlino, che ora tutto il mondo accusa di assassinio dell’ennesimo dissidente, respinge ogni addebito. E contrattacca, definendo «assolutamente inaccettabili» le dichiarazioni dei molti leader che hanno puntato il dito contro Putin. Primo fra tutti il presidente americano, Joe Biden. «Non facciamo errori: Putin è il responsabile della morte di Navalny», ha dichiarato. «Non sappiamo esattamente cosa sia successo – ha specificato –, ma è chiaro che si tratta della conseguenza di qualcosa che hanno fatto Putin e i suoi teppisti». Il presidente ha poi voluto ricordare la figura del dissidente, lodando il suo coraggio nell’essere tornato in Russia, quando avrebbe potuto rimanere all’estero. «Lui era tutto quello che non è Putin. Era coraggioso, era una persona di sani principi, era determinato a costruire una Russia dove esista lo Stato di diritto e venga applicato a tutti».
A lui ha risposto, molto meno asservita del solito, la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zacharova, che, in una perfetta logica di ribaltamento della realtà, tipica della propaganda russa, ha accusato l’Occidente di aver già tirato tutte le conclusioni senza conoscere i dettagli. Alle accuse che sono arrivate dagli stessi russi – soprattutto da quelli che, come il campione di scacchi Garry Kasparov, vivono all’estero e quindi sono meno esposti alla furia del regime – ha risposto invece il vicepresidente della Commissione Esteri della Duma, Vladimir Dzhabarov: «La Russia non aveva motivo di nuocere in alcun modo alla salute di Navalny, assolutamente nessuno – ha detto –. L'uomo stava scontando una pena per diversi anni. Penso che sia un incidente, succede».
Dichiarazioni che hanno avuto come unico obiettivo quello di fare aumentare la rabbia, soprattutto quella di Yulia Navalnaya, l’amatissima moglie del dissidente, madre dei suoi due figli, che è sempre stata una figura di grande sostegno durante la sua battaglia politica. Per lei Navalny disegnava cuori sui vetri delle aule dei tribunali, nelle gabbie dove sedeva da imputato, durante un interminabile calvario giudiziario. A lei è dedicato l’ultimo post sul suo canale Telegram. «Tesoro, con te tutto è come in una canzone: tra noi ci sono città, luci di decollo di aeroporti, tempeste di neve blu e migliaia di chilometri. Ma sento che sei vicina ogni secondo e ti amo sempre di più». Quasi un commiato da una donna con cui ha diviso metà della sua breve vita e tutte le sue battaglie. Che Yulia è pronta a continuare per lui. Da Monaco, dove assisteva ai lavori della Conferenza sulla Sicurezza, la signora Navalny a caldo, ha detto ai giornalisti: «Sono stata indecisa se rimanere qui o tornare dai miei figli. Mi sono chiesta che cosa avrebbe fatto Alexeij e sono certa che sarebbe rimasto qui a lottare e così faccio io». Subito dopo, ha aggiunto: «Vorrei che Putin e tutto il suo staff – tutti quelli intorno a lui, il suo governo, i suoi amici – sapessero che saranno puniti per quello che hanno fatto al nostro Paese, alla mia famiglia e a mio marito. Saranno assicurati alla giustizia e questo giorno arriverà presto».
Nelle stesse ore, a Mosca, centinaia di persone hanno deciso di sfidare il regime con un omaggio silenzioso che hanno depositato mazzi di fiori di fronte alla sede dell’Fsb, il servizio segreto russo. Segno che, in qualche modo, Navalny continua e continuerà a vivere.
Alexeij Navalny con la moglie Yulia durante un'udienza a Mosca - Reuters