Mario Monti entra nella sala del Consiglio Ue insieme ad Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, sorridenti. Avanzano salutando gli altri leader. È un’immagine inconsueta che vale da sola, per l’Italia, il nuovo vertice straordinario a 27 consumato ieri in una Bruxelles spolverata di neve. È la conferma visiva di quella soddisfazione che il presidente del Consiglio manifesterà a fine giornata: «Scusate se malgrado l’ora provo un forte entusiasmo», dice, ovviamente senza mostrarlo in realtà. Ma nelle conclusioni del summit la sostanza c’è tutta, assicura Monti definendo «fruttuoso» il lavoro che «ha concluso una pagina importante per la stabilità della zona euro: l’Europa ora siede su una roccia più solida». È una soddisfazione – «l’Italia ha ottenuto quanto auspicava», ha dichiarato il premier – avvalorata fragorosamente pure da Jean-Claude Juncker: «La politica italiana mi sembra che abbia ritrovato il cammino della ragione», afferma il presidente dell’Eurogruppo. E il Professore aggiunge, più tardi: «Non penso che l’Italia abbia bisogno dell’Esm», il fondo salva-stati permanente.L’Europa continua dunque a plaudire al Professore – soddisfatto anche dell’accordo sul debito – tornato nella capitale belga forte del bagaglio di un altro provvedimento messo nel carniere (le semplificazioni), di una «collaborazione senza precedenti fra le Camere e il governo» e degli elogi della grande stampa internazionale. Più di tutto vale però quel pre-vertice a tre, simbolicamente voluto dai tre leader subito prima del Consiglio vero e proprio, a sancire davanti a tutti l’esistenza di un asse privilegiato fra Berlino, Parigi e Roma (si rivedranno a Roma a fine febbraio, per il trilaterale annullato il 20 gennaio, anche se nemmeno ieri è stata fissata la data). Dopo il parziale insuccesso del vertice di dicembre, quando non riuscì nel suo intento di includere comunque la Gran Bretagna di Cameron, l’opera e la mediazione di Monti sono state impostate su tre pilastri: tutela dell’Italia per evitare sanzioni semi-automatiche sul rientro del debito pubblico; la maggiore attenzione da porre ai temi della crescita e del lavoro; infine, il mantenimento di uno spirito il più comunitario possibile, senza troppi "strappi" fra stati. Il premier italiano riporta a casa un buon risultato sul primo punto. Gli articoli 4 e 7 del nuovo patto intergovernativo sulla disciplina di bilancio (il "Fiscal compact") non sono stati stravolti: il parametro del debito (che ci vede fra i più deboli in Europa) non è stato inserito accanto a quello del deficit annuale tra i fattori forieri di possibili sanzioni, nonostante lo "sgambetto" di Mario Draghi, il presidente della Bce che avrebbe gradito pure lui, per non dispiacere troppo ai tedeschi, una maggior severità.Il premier ha condiviso poi l’appello fatto da Barroso, il presidente della Commissione Ue, a rimuovere i lacci e lacciuoli che frenano in particolare le Pmi, e la dichiarazione finale sulla crescita, in cui riscontra una «fortissima traccia italiana» e un’arma molto importante, perché in virtù di essa nessun governo proverà «più disagio a parlare di crescita». Positivo è il mandato dato alla Commissione a «implementare entro giugno la legislazione sul lavoro» e fonte di soddisfazione il fatto che Barroso abbia additato come un «caso di successo» la riprogrammazione dei fondi Ue già attuata dal ministro Barca. Sono richiami che rimandano a quelle riforme che restano da condurre in porto, come Monti sa bene, ancor prima che la solita agenzia di rating (Moody’s stavolta) gli ricordasse che la manovra di dicembre «riducesse il reddito disponibile delle famiglie», con inevitabili effetti negativi sul Pil che dovrebbe contrarsi quest’anno dell’1% (comunque una stima più ottimistica del -2,2% indicato dal Fmi). Monti si è speso infine per evitare (anche se poi i cechi si sono chiamati fuori) nuovi attriti sulle presenze ai vertici della zona euro, invitando a distinguere fra «chi vuole star fuori» (Cameron) e chi invece «non può»: per lui la bussola resta «non escludere a priori nessuno».